IL Siero dell'Intelligenza
Part I sent by fagoshi and uploaded on data 28/August/2004 16:42:30
Era una bella notte d'estate: calda ma non troppo, senza afa, asciutta.
Tutti in vacanza al mare od in montagna, ben pochi al lavoro se non costretti dai turni; nessuno al lavoro per propria libera scelta.
Anzi, uno. Io.
Stavo lavorando a quel siero per lo sviluppo del cervello, per la crescita delle interconnessioni neuronali: non solo per chi avesse deficienze mentali, ma anche per chi, normale, si accorga dei propri limiti e li voglia superare: chi non vorrebbe capire in un sol colpo d'occhio una complicata equazione matematica di mezza pagina? Chi non desidererebbe scoprire, parlando con qualcuno, se è sincero o no, decifrando i più piccoli suoi segni, sia del viso che della voce?
La mia ragazza, una bellissima ragazza, stupenda: stava con me da qualche anno, ma non riuscivo a capire cosa ci fosse dentro di lei: stava con me perchè le piacevo, aveva l'aria un po' svanita ma a tratti sembrava intelligente: fingeva d'essere poco intelligente? E perchè?
Intelligente o meno, era annoiatissima di passare con me le giornate in quella casa di campagna, un rustico da me trasformato per metà in abitazione e per metà in laboratorio.
Quella notte lei avrebbe voluto far l'amore; io ero tutto preso dai miei studi e non potevo darle retta.
--Amore, lo faccio per TE, cerca di capire... o meglio, capirai quando avrò finito...--
Avevo infatti intenzione di farle provare il siero, assieme a me, ovviamente una volta provato su qualche animaletto chiuso in una gabbia: comunque avrei nonato l'aumento di intelligenza in questo, poi sarei andato sul sicuro.
Oramai era tutto pronto: il topolino bianco, chiuso nella sua gabbietta, non aveva mangiato nulla per l'intera giornata; non ebbe quindi esitazione nel divorare il pezzetto di formaggio con su qualche frazione di goccia del distillato che stava lentamente formandosi nell'ultima delle ampolle di una sterminata catena, nel mio laboratorio.
--Domani, caro sorcetto, farai una serie di bei tests che ti ho approntato: se sarai più bravo dell'ultima volta, nella quale hai sbagliato quasi tutto, proverò il siero su me e la mia bella-- dissi come se potesse capirmi, e me ne andai a dormire.
Il giorno seguente scesi nel laboratorio e... la gabbietta era vuota!
Perfettamente chiusa, ma vuota. Era come se il sorcetto avesse aperto la porticina e, uscito, l'avesse richiusa, per beffeggiarmi. Era diventato INTELLIGENTISSIMO!
Il siero funzionava alla perfezione, allora! Corsi rapidamente dalla mia bella, con un flaconcino di distillato già pronto col contagocce, a dirle tutto.
Ma non fu affatto entusiasta. ---Così credi che sono una scema, eh?! E vorresti farmi diventare chimicamente intelligente? Lo sai che io odio qualsiasi additivo chimico commestibile; mi avevi detto che lavoravi a delle nuove resine plastiche!!! Mi hai pure mentito!!!---
Fu una litigata tremenda, non l'avevo mai vista così infuriata: sputava e graffiava come una gatta inferocita e, colpito nell'orgoglio (ed anche in un altro posto, da un calcio di lei), l'ira mi accecò tanto che risposi a sberle e ceffoni per varii minuti.
Quando mi accorsi che avevo esagerato, me ne pentii. Cercai di risollevarla da terra, abbracciandola, ma lei, con le poche forze che le rimanevano, mi respingeva debolmente dicendomi che era finita tra noi.
Non l'avevo mai picchiata prima di allora. Non credevo che l'avrei mai fatto.
Una ragazza splendida, più alta di me, quasi 1,85; snella ma formosa.
Capelli rossi un po' mossi e lunghissimi, adornanti un viso leggermente ovale con due splendidi occhi color verde-scuro, una quarta di seno con capezzoli diritti ed all'insù, leggermente divergenti.
Non aveva il benché minimo difetto, soprattutto per quanto riguardava il suo fondoschiena.
Avevo trattato così male questo splendidissimo essere.
---Adesso non voglio dormire affianco a te, se tu dormi in camera io dormo in salotto, o viceversa. Domani prendo tutte le mie cose e me ne vado, MOSTRO! Non voglio vederti MAI PIU', io non esisto più per te... VIGLIACCO!!!---.
La accompagnai in camera e la feci entrare, facendole capire che non sarei entrato. Una volta nella camera, chiudendo la porta, esitò un istante lanciandomi un'ultimo sguardo tra il feroce ed il timoroso, con un pizzico di dolore, poi chiuse quasi sbattendo, facendo sentire decise le due mandate del chiavistello che non era mai stato chiuso da nessuno dei due. Non potei decifrare quello sguardo a fondo, ma capii che stava male. Anch'io stavo male, non avrei MAI dovuto reagire così con una ragazza, tantomeno con lei. Ero angosciato, triste, addolorato ed impotente: che potevo fare per trattenerla con me?
Come avrei mai potuto farmi perdonare? Cosa potevo fare per farle dimenticare l'accaduto? Potevo fare un siero per quest'ultima cosa, ma in una sola notte? Ed avrebbe funzionato?
Mi accasciai sul divano, triste e già rassegnato a passare la prima notte da solo, anche se lei era distante una decina di metri: a dieci metri o a diecimila chilometri oramai era la stessa identica cosa.
Mi distesi sul divano per dormire: era comodo, dopotutto, tranne che dalla parte della testa: faceva un bozzo ed era duro.
Infilai la mano sotto il cuscino ed afferrai un oggetto.
Era la bottiglietta col siero.
La riconobbi subito, la strinsi in mano a lungo, pensando a come per quel liquido avevo perso la mia donna...
Un momento... ma che cretino! Avevo la soluzione sottomano e non me n'ero accorto... segno che ne avevo bisogno!
Dovevo adoperarla io, e subito: se fossi diventato più intelligente avrei subito saputo convincere, rimediare, calmare la mia ragazza sempliciotta, cosa che normalmente facevo agevolmente per i piccoli dissapori di coppia, ma che non avevo idea di cosa fare per rimediare ad una cosa tanto grave!
Accesi immediatamente la piccola abat-jour affianco al divano e lessi la dose che avevo calcolato per il peso corporeo di una persona raffrontata al risultato sul ratto: 12 gocce era scritto e 13 ne presi: nemmeno dei miei calcoli mi fidavo più, e poi era una situazione di emergenza...
Spensi la luce e mi addormentai pensando e ripensando alla soluzione; il giorno seguente sarei stato così intelligente da ribatterle per filo e per segno ad ogni sua parola: che so, avrei detto che era colpa del siero se ero diventato aggressivo, o solo dei vapori inalati nel laboratorio...
La mattina seguente era alquanto luminosa; già ad occhi chiusi il bagliore che penetrava dalle finestre socchiuse era fastidioso... udii la porta della camera schiavarsi piano piano: stava uscendo cercando di non far rumore; decisi di continuare a fingere di dormire anche quando mi fosse passata affianco... strano, non m'era ancora venuto nulla in mente, ma credevo fosse questione di qualche minuto dal risveglio.
La sentii fermarsi affianco a me, sicuramente mi stava guardando -magari come addio, forse con qualche rimpianto- , decisi di non muovermi ancora per qualche secondo per poi aprire lentamente gli occhi beandomi della sua vista...
Non feci in tempo a fare ciò: un violentissimo colpo mi schiacciò la testa sul divano, come se fossi stato colpito sulla faccia da un'enciclopedia scagliata di copertina verso di me.
Qualche attimo di stupore e frastorno, riuscii ad aprire gli occhi... ma, per la miseria, ero alto si e no trentacinque centimetri!!! Tutto era più grande, attorno a me, anche lei... o ero io più piccolo?
---Ciao, vigliacco! A quanto pare, quel tuo esperimento non ha funzionato come speravi tu... mi sembri uno dei sette nani, ahahah...---
--Amore, vedi che mi è successo! Aiutami, adesso: devo andare in laboratorio a trovare un antidoto...--. ---Ah, sì? E se avessi bevuto con te quella porcheria chi ci avrebbe aiutato? ...aspetta...---
Pensò qualche secondo. ---Brutto vigliacco!!! Volevi far bere solo A ME quella porcheria, tu avresti solo finto! Volevi trasformarmi nel tuo giocattolino, PER QUESTO mi chiamavi sempre più spesso “piccola”, eh?---.
Non feci in tempo a replicare che mi trovai investito da una scarica di schiaffi su tutto il corpo, parevano colpi dati con una pala da terra.
Si fermò ansimante e nel contempo con quell'espressione di soddisfazione di chi ha iniziato a vendicarsi; tra un ansimo e l'altro disse: ---Lo sai perchè mi sono alzata così in silenzio e mi sono arrischiata a passarti vicino? Perchè avevo bisogno di andare al gabinetto! Avevo pensato di lasciarti il ricordino in camera, ma avevo paura che mi avresti nuovamente picchiato; quando però ti ho visto dormire sul divano, così rimpicciolito, inerme, non ho resistito a tirarti una bella sberla come quelle che mi hai tirato tu... e adesso vieni qui!---
Mi prese per un braccio, sollevandomi di peso: ero delle dimensioni di un bambino di 4 anni, rispetto a lei... mi teneva sollevato dal braccio, tenendo la sua mano stretta intorno al mio polso.
Mi reggeva come si farebbe con una fiaccola, con il braccio in posizione semiflessa, solo che io pendevo sotto, e l'altro braccio puntato su un fianco, in aria d'attesa.
Aprì la mano ed io caddi per terra, da un'altezza per me quasi pari a quattro metri.
---Adesso preparati a bere: voglio vederti scolare la mia piscia come fossi un bidèt... hai capito?---
Mi rialzai di scatto e tentai la fuga, ma sentii un colpo di violenza inaudita sul sedere: mi diede un calcio che mi fece volare per alcuni metri, sbattendo prima contro un muro ed atterrando poi malamente su una sedia di legno e da questa per terra.
Si avvicinò camminando lentamente, sapendo che non potevo scappare: d'altro canto ero col sedere quasi addormentato dal colpo, ed i testicoli che mi facevano malissimo, dato che nel calcione la punta dei suoi stivaletti si era infilata perfettamente sotto il mio cavallo.
---Ho capito: vuoi prima che io mi diverta un po', e va bene; cominciamo...---
Mi prese come un bambolotto e mi poggiò con inusuale delicatezza sul tappeto al centro del salotto, poi si allontanò di 5 o 6 (suoi) passi e si diresse nuovamente verso di me, camminando allo stesso modo delle modelle nelle sfilate. Non capii cosa aveva intenzione di fare finché, noncurantissima, fece uno dei suoi passi sul mio stomaco, facendomi quasi uscire i polmoni dalla gola.
Continuando a passeggiare, e canticchiando, si allontanò e cambiò verso tornando da me.
Cercai di nuovo di scappare, ma riuscii solo a girarmi carponi ed a strisciare per pochissimo: il suo secondo passo lo fece sul mio fondoschiena, schiacciandomi sul tappeto con un peso immane... sentii il suo peso schiacciarmi i glutei e trasferirsi sul tappeto anche e soprattutto attraverso il mio povero sesso, che parve allargarsi spiaccicato tanta era la pressione. E mica si tolse rapidamente, stavolta: il passo fu quasi al rallentatore; il lamento soffocato che feci fu accompagnato da un suo sospiro di sollievo e di goduria.
Continuando a camminare, mi disse -sempre canticchiando- che quando ne avrei avuto abbastanza avrei dovuto allargare le braccia.
Non avrei sopportato un altro passo sotto quegli stivali di cuoio alla texana, durissimi, col tacco di 5 centimetri solamente che invece a me pareva largo quanto un 45 giri ed alto 20 centimetri e più: mi voltai supino ed allargai le braccia giusto in tempo, dato che era di nuovo da me.
Ero rotolato appena fuori del tappeto, lei era su di me con i piedi poggiati affianco al mio torace, con entrambi i pugni piantati nei suoi fianchi.
Sorrise compiaciuta e, da quella posizione, si tolse i jeans attillati che indossava, e le mutande... era una visione stupenda ed io, anche se ancora dolorante, me ne beavo... non la ricordavo così bella, l'avevo trascurata troppo; le poche volte che ci facevo l'amore le entravo dentro e basta, senza preliminari, senza baciarla su tutto il corpo... senza nulla. Quanto avevo perso!!!
Vidi, quando si sfilò le mutandine, un foltissimo ciuffo di peli color ebano dai quali sporgevano le grandi labbra della sua meravigliosa vulva; quando alzò il piede per sfilarsi completamente la mutandina quelle splendide labbra mi parvero addirittura sorridere...
---Cosa guardi? Chiudi immediatamente gli occhi!---
Spaventato dal suo tono improvvisamente irritatissimo, chiusi subito gli occhi: era stata più intelligente di me, stavolta: riaprii gli occhi straziato dal dolore e vidi che le mie mani, stando ancora a braccia aperte, erano ognuna sotto uno dei suoi durissimi tacchi.
Mi aveva fatto chiudere gli occhi apposta: se avessi visto le avrei spostate, se ne avesse schiacciata improvvisamente una mi sarei girato istintivamente con l'altra a cercare di tirarla via; ad occhi chiusi lei poggiò le punte degli stivali poco più su dei miei pugni dimodoché i tacchi vi ci si trovassero sopra ed abbassò.
Ho detto proprio pugni: sentii fracassarsi tutti gli ossicini delle mie mani, schiacciate a pugni tenuti chiusi dal dolore che già provavo per il calpestamento al quale mi aveva sottoposto.
Stando in questa posizione, noncurante dello scempio, continuò a spogliarsi della camicetta.
---Occhio, adesso, mi tolgo il reggiseno...---
Mentre se lo toglieva mise tutto il suo peso sui tacchi, girandoli alternativamente e sentendoli slittare contro il pavimento sulla poltiglia che erano le mie mani; pian piano il sangue usciva da sotto i suoi piedi.
Si tolse da quel che restava delle mie mani e si chinò, guardandomi:---Non credo che potrai trovare un antidoto così ridotto... ed adesso bevi!---.
Mi sparò in bocca un getto d'urina salatissimo ed amaro, ma fece molta attenzione a trattenerla per farla durare il più possibile, perchè ne bevessi il più possibile.
Mi sentii lavato da quel getto bollente, bevvi finchè riuscii, come se ciò potesse in qualche modo salvarmi da qualcosa di peggio.
Non aveva terminato gli ultimi rivoli, quando si tolse e poggiò il suo sedere bellissimo con l'ano in corrispondenza della mia bocca che stava ancora inghiottendo la sua urina.
Per il fatto che avevo la faccia fradicia della sua pipì l'adesione era perfetta; lasciò andare un potentissimo scorreggione dal suo intestino direttamente nel mio stomaco e nei miei polmoni.
Una bordata così violenta che mi sparò in gola con forza l'urina della quale ancora avevo piena la bocca.
Era qualcosa di tremendamente fetido, tra l'odore di merda ed uova marce, ed era in così gran quantità che mi sentii dilatare i polmoni e lo stomaco a dismisura; se mi avesse schiacciato adesso sarei esploso.
Rimase in quella posizione non so per quanto tempo, un minuto, due, tre... non lo so: lei godeva del fatto che ero pieno della sua flatulenza, godeva che non potessi espellerla se non avesse distaccato il suo ano dalla mia bocca, dato che il naso stesso era schiacciato dal sedere reso a perfetta tenuta dal bagnato della sua urina.
Quei due-tre minuti furono lunghissimi: non vedevo niente con i suoi stupendi glutei che mi premevano morbidamente sugli occhi; non sentivo più nulla, nemmeno il dolore delle mie braccia; non udivo più nulla, con tutto il mio essere pieno di quel gas intestinale che premeva sulle orecchie rendendole sorde, come quando s'esce dall'acqua del mare con i timpani pieni d'acqua...
Mi risvegliai lentamente: doveva essere, a giudicar dal sole, primo pomeriggio.
Mi guardai attorno: era ancora tutto grande, non era stato un sogno.
Portai lentamente le mani all'altezza del volto: non c'erano più. I polsi erano serrati con quelle fascette scorsoie autobloccanti da elettricista, per questo motivo non ero morto dissanguato... sentii una porta aprirsi: era lei.
In perfetta tenuta sportiva, era andata a correre, come spesso faceva da sola, mentre io ero occupato nel laboratorio.
Mi si avvicinò con gran rapidità, saltellando: come mi fu dipresso sentii il dolce profumo della sua pelle sudata di fresco, vidi la sua pelle lucida e tesa di giovane 23enne ad un palmo da me.
---Adesso che ho corso, finalmente, posso liberarmi di un bel peso... sei pronto ad aiutarmi?---
La guardai stupita. Non capivo...
---Sai benissimo di cosa parlo... o quel siero è un completo fallimento? Adesso ti spiego: sei a digiuno da 2 giorni, anzi: quattro, per la precisione, dato che stavi chiuso in quello stupido laboratorio per ore e gli ultimi giorni neanche per mangiare sei venuto da me: adesso ti ho preparato una dolce ed abbondante pietanza l'aroma della quale ti ha accompagnato nel tuo sonnellino...---
--...no... No! Non puoi farmi questo!!! NO!!!--. ---E chi me lo impedisce?--- Mi prese con la solita inesorabilità continuando a dirmi, con tono falso-materno: ---Su, non fare i capricci, devi mangiare quello che ho in serbo per te, e non devi lasciare nulla... e poi, ho mangiato certe buone cose che piacciono anche a te, no? Pasta aglio ed olio, una bella bistecca con patate, e, come frutta, banane e soprattutto prugne, queste ultime dovrebbero evitarti di masticare troppo...---
--No, NOOO!-- e, steso per terra, cercavo pietosamente di divincolarmi.
---E va bene... forse non ti ho ancora trattato abbastanza...--- D'improvviso prese a calpestarmi con foga i piedi e le gambe: aveva delle scarpette leggere, ma rispetto a me pesava almeno una tonnellata e pian piano i miei jeans cominciarono a macchiarsi di sangue, prendendo un colore scuro, quasi nero, oltreché una forma alquanto appiattita.
Si fermò un istante a guardarmi: aveva fiaccato qualsiasi mia resistenza. Si denudò completamente, come per rammentarmi ogni volta quanto avessi perso, si chinò su di me esattamente come aveva fatto quando mi aveva scaricato dentro i suoi gas.
Appoggiò il suo ano nella medesima posizione della prima volta, ma premendolo meno contro la mia bocca.
Nuovamente una scorreggia potente, ancor più fetida della prima che respirai, mi invase tutto, ma stavolta era così abbondante che fuoriuscì fra il suo sedere e la mia faccia, spernacchiando con potenza come una serie di piccolissimi schiaffi dati in successione sul mio viso.
Si distaccò appena e sentii i capelli scottare: stava gocciolando dell'urina dalla sua vagina appena aperta, su di me.
Si stava rilassando: dopo un'altra piccola serie di puzze appena sibilate cominciò ad uscirle dall'ano un lungo cordone marrone, appena consistente, pastoso, marrone. Se non avesse mangiato prugne avrebbe avuto la larghezza di una bottiglia, per me, ma siccome usciva come un filo cremoso entrò nella mia bocca con una precisione stupefacente.
Cominciai ad inghiottire, disperato: stavo ripetendo dentro di me: “è questo che meriti, stronzo! Hai visto che le hai fatto, come l'hai trattata, adesso mangia! Mangia più che puoi! Non meriti altro che questo...”
Non contai i bocconi, saranno stati più di trenta, fatto sta che gli ultimi furono più lenti e difficili, poiché mi sentivo lo stomaco pieno e teso come un tamburo.
Lei però continuò ad espellere, col risultato che il getto pastoso di escrementi si allargò pian piano sulla mia faccia, contorcendosi poi in alcune volute.
Lei se ne avvide, ed indispettita sedette spiaccicandomi il tutto sulla faccia.
Di nuovo sostò più di un minuto, ma si tolse quando ero ancora cosciente.
---Bene, spero che ti sia piaciuta... credimi, nel tuo pasto ci ho messo tutta me stessa...---
Era notte, ormai. Mi addormentai, con lo stomaco pieno. Ogni tanto mi svegliavo nauseatissimo dai miei stessi rutti, che sembravano essere scorregge fatte all'inverso, e passavano inevitabilmente nel naso. Il giorno seguente lei non si fece viva per tutto il dì, io comunque non mi mossi, mancandomi le braccia ed avendo i piedi maciullati cosa potevo comunque fare?
Quando la udii tornare, a notte fonda, sperai con tutte le mie forze che mettesse fine alle mie sofferenze, anzi: decisi di istigarla proprio in questo senso. Si avvicinò a me, per vedere se ero vivo, forse.
--Che fai, non giochi con me, oggi? Ti sei stancata, eh?--. ---No, non sono stanca... volevo che digerissi in pace la mia merda, ed a quanto pare lo stai facendo bene: non c'è traccia di vomito...---
--Allora oggi niente?--.
---No, oggi niente. Anzi, un bicchiere di chinotto te lo concedo...---.
Andò e tornò lesta con un bicchierino di quelli minuscoli da aperitivo, che per me era una caraffa da un litro, pieno di una delle poche bibite delle quali andavo pazzo. Sicuramente era il trattamento buono del condannato a morte. Mi chiedevo cosa sarebbe successo l'indomani.
Ebbe un'insolita attenzione ad accostarmelo alla bocca, osservava mentre bevevo ed accompagnò il bicchiere perfettamente, come se lo muovessi io stesso.
Mi addormentai...
--- Ciao, vermicello! ---.
La sua voce mi risvegliò come un tuono. Aprii gli occhi e vidi me stesso, riflesso in uno specchio nero grande quanto un 33 giri. Ero tutto livido, acciaccato, con due braccia senza mani, seduto in malo modo con le punte dei piedi l'una contro l'altra, il che lasciava capire quanto erano stritolati. Mi vidi interamente nello specchio, anche se era più piccolo di me, poiché era uno specchio curvo.
Guardai oltre lo specchio nero e rimasi esterrefatto.
Era una sua pupilla.
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Se non sei del tutto scemo avrai capito che ho ritrovato il flaconcino col siero “dell'intelligenza” ed intelligentemente te ne ho servite alcune gocce nel chinotto di ieri... a proposito, era buono?---
Mi prese con due dita serrandomi il busto, ero piccolo poco più di quattro centimetri e la sua presa mi fracassò tutte le costole. Mi sollevò continuando a stringermi, per la pressione me la feci addosso; ma quegli escrementi espulsi per una seconda volta da un corpo lei non li vide, dato che caddero assieme ai calzoni che si sfilarono dalle mie gambe ormai flosce. Mi poggiò sul pavimento e si denudò completamente. Si chinò di nuovo come aveva fatto già le altre volte, e cominciò a defecare. Stava guardandomi mentre faceva ciò, accovacciata: incredibilmente trovai la forza per stare seduto, e lei giocò a fare il cerchio. Il lungo cordone marrone, molle, cominciò ad uscire dopo che alcune tremende ventate mi scaldarono tutto il corpo, come un enorme phon, e lei guidò questo cordone muovendo il bacino in senso circolare.
Era del diametro, per me, di più d'un metro e mezzo, e lei lo depositò come un cerchio attorno a me, lasciandomi nel centro. Ricordai, quand'ero bambino, di quei microscopici ragnetti rossi che prendevo dai muri e ponevo su fogli di carta, contornandoli con un cerchio di penna e vedendoli impediti a superarlo... adesso per lei valevo meno di uno di quei ragnetti.
Mi lasciò alcuni minuti all'interno di quella prigione, prigione che emanava un calore ed un fetore senza pari, pian piano il vapore emesso da quella cacca mi si condensò addosso come sudore appiccicaticcio. Poi decise finalmente di schiacciarmi... il suo piede si abbassò sul tutto, vidi l'oscurità scendere sul breve spazio che avevo.
All'improvviso avvertii il contatto appiccicoso della sua merda che, espandendosi, richiudeva sempre più il buco centrale nel quale ero contenuto. Oramai ero morto, credevo, quando alzò la suola improvvisamente. Ero completamente impastato, solo la faccia era ancora libera e potei guardarla. Mi fissò con un sorriso, aveva solo deciso di non schiacciarmi con la suola ma con il tacco degli ormai famosi stivali che aveva calzato per l'occasione.
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Vedi, non è per cattiveria, ma voglio sentire lo scricchiolio delle tue ossa sotto il tacco, così sicuramente lo sentirò meglio, caro il mio intelligentissimo... ah, un'ultima cosa: sei proprio un cretino, non uno scienziato: quella sera, prima che litigassimo, ho visto un topolino grande quanto una monetina da 1 centesimo correre per il salotto venendo dal laboratorio e nascondersi chissà dove; stavo per dirtelo ma poi tu mi hai euforicamente sopraffatto con la descrizione del tuo esperimento e del tuo siero... lì ho capito tutto, non ho bevuto ma tu l'hai “bevuta” e l'hai bevuto... quel sorcetto non aveva aperto un bel niente, era solo passato attraverso le sbarre... addio, adesso, “scienziato”, io vado via e mi trovo un ragazzo meno studioso, più sensibile e certamente meno scemo...
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Vidi il suo meraviglioso corpo sin quando lei spostò il tacco su di me, durò pochi istanti: sentii le ultime ossa rimaste intere fracassarsi e la mia carne confondersi con l'altro pastoso organico che mi circondava.
Lei sentì, attraverso il tacco, dei piccoli scrocchi, appena attutiti dal suo escremento e dalla mia polpa, ciò che non sentì fu il mio ultimo pensiero: “---Amore... hai ragione...---”
Fine.
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