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Era una giornata di merda.

Part I sent by fagoshi and uploaded on data 09/May/2005 00:25:58


Era una giornata di merda.

Avevo litigato col mondo intero.

Ed avevo urlato, prevaricato, sottoposto un sacco di gente alle mie dipendenze, mandato via dal lavoro un’altra dozzina di impiegati, dato che la mia azienda stava pian piano fallendo. ‘Ste scarpacce d’importazione stavano portando al fallimento la mia fabbrica di calzature, oramai mi restava poco tempo sul mercato: ma chi se ne frega!

I soldi che mi ero messo da parte mi avrebbero consentito di vivere di rendita agiatamente, altri ne avrei ricavati dalla dismissione dell’azienda… s’è mai visto un imprenditore fallire con le tasche vuote?

No, ovviamente… solo qualche sprovveduto, qualcuno onesto, che fino all’ultimo non imbrogli le carte per salvare il salvabile per sé.
Non era una giornata del tutto persa: ogni volta che ho pronunziato la frase: “mi dispiace, ragazzo, l’azienda va male e non ho più bisogno di te” provavo una soddisfazione molto grande.
Sì, sono un sadico, uno schifo d’uomo, e me ne vanto, ma me lo dico solo IO, perché i miei operai, pur sapendolo, hanno paura anche solo a pensarlo, dinanzi a me.

Stavo percorrendo una strada polverosa, di campagna: avevo letto un’inserzione di quelle che si trovano poco, giacché costano: una puttana che facesse anche BDSM, che insomma ti trattasse un po’ male.
Forse era una reazione istintiva, la mia: sempre abituato a schiacciare tutti, mi piaceva ogni tanto essere pestato io –da una donna– e sempre nei limiti concordati (quando mi trovavo di fronte qualcuno da licenziare volevo avere la faccia più fresca ed innocente del mondo).

Arrivai ad un rustico molto ben tenuto, pareva una villetta.
Suonai al campanello e mi rispose una vocina soave di donna, la stessa che mi cinguettò al cellulare il prezzo e le modalità delle prestazioni che intendevo ricevere. Mi fu aperto il portone da una ragazza meravigliosa, tutta vestita in pelle nera e reggicalze e giarrettiere, con una mascherina ad 8 sugli occhi: la sua divisa da Padrona.

Non era alta, anzi: decisamente piccolina, ma dal fisico perfetto: seni molto ben formati che parevano far quasi esplodere quella pelle nera, ventre piatto e sederino a mandolino, per non parlare delle gambe praticamente perfette e delle braccia esili e liscissime, bianchissime, di seta. I capelli erano biondissimi e lunghi, naturali, raccolti in una lunga coda di cavallo. Aveva un profumo stupendo di ragazza 22 – 28enne, era impossibile stimare con precisione la sua età: una ragazza senza tempo.

Con modi gentilissimi mi invitò ad entrare in casa e di seguirla nella stanza attrezzata per le pratiche BDSM, chiedendomi cosa potesse fare per me e con quale intensità. Cominciammo a percorrere un corridoio, al lato del quale ad un certo punto c’era un grosso orsacchiotto di peluche che urtai accidentalmente col piede facendolo cadere a terra.
Non pensai minimamente a raccoglierlo, d’altronde lei, appena si accorse che l’avevo fatto cadere, mi disse: –Non preoccuparti, lo metto a posto io… è di un cliente che desidera ch’io lo tenga in braccio mentre calpesto le sue mani… allora, cosa posso fare per te?–
“voglio che mi cammini sullo stomaco per un po’, poi che ti sieda sulla mia faccia ordinandomi di leccarti la fica, poi che mi incateni seduto e che mi schiacci il cazzo con i piedi”, le dissi. “Con delle scarpe con tacco piatto, così non mi fai danno; schiacciamelo senza alzare da terra l’altro piede sennò scivoli e mi fai molto male…” –Guarda che so bene cosa fare, sono padrona da 7 anni, ormai! Mi hai preso per una novellina – . Aveva avuto una reazione scocciata, quasi sgarbata. Se fosse stata una mia dipendente l’avrei cacciata a strilli dal mio ufficio, l’avrei.

Mi osservò un attimo mentre pensavo ciò e deve aver capito che ero rimasto alquanto contrariato dalla sua reazione. –Per caso non ti va il modo in cui ti parlo? Non cercavi una padrona?–. “Sì, ma non esagerare nemmeno coi termini, non mi piace che mi si tratti come uno scemo”.

–Va bene, ho capito. Adesso dammi qui i 350 euro che cominciamo– “…ma… non s’era parlato di 250 euro? Ne sono sicuro, ne sono…” –si, ma vedi: anch’io ci rimango male quando mi trattano di merda, soprattutto quando a farlo è qualcuno che vorrebbe sottomettersi. Adesso la tariffa è di 100 euro in più, se ti sta bene, altrimenti ciao.–
La mia espressione facciale dev’essere stata alquanto peggiore della precedente, cosicché, senza nulla dire, cominciò a percorrere il corridoio dirigendosi verso la porta, la aprì e si mise in attesa di chiudermela alle spalle. Aveva percorso quei pochissimi metri di corridoio con un passo celestiale, con dei movimenti fantastici. Poco prima della porta, sul corridoio, c’era l’orsacchiotto di peluche che avevo fatto cadere sdraiato supino. Con una delicatezza senza pari ed una noncuranza ammirevole ci affondò il piede dentro, schiacciandolo sullo stomaco, montandovi su giusto il tempo di fare il passo, continuando poi verso la porta.

Non capii più nulla, avevo avuto un’erezione di ferro, avevo immaginato il mio stomaco sotto quello stupendo piedino, sotto il suo peso. Mi diressi deciso verso la porta, tirai fuori il portafoglio e sfilai 3 biglietti verdi ed uno arancione. Lei mi restituì quest’ultimo e ne prese un quarto verde. –Sarà meglio che non dici nulla, altrimenti te li restituisco tutti e mi prendo quello viola che ho visto nel tuo portafoglio–, mi disse. Non ebbi il coraggio di dire niente, volevo solo finire sotto di lei.

Entrammo nella stanza: i vari lettini, attrezzi, oggetti erano disposti in modo a dir poco perfetto, il pavimento era di linoleum: caldo ma duro per pestare bene, con qualche tappeto soffice per usi delicati. Indossò rapidamente le scarpe che servivano per me, con la suola larga e piatta, ma dura. Se le avessi scelte io non avrei fatto meglio. In fretta e furia mi denudai completamente…

Mentre mi distesi ansioso sul pavimento mi guardava con un sorriso cattivo e divertito: un sorriso da Padrona, e ciò mi eccitava moltissimo.

Cominciò a passeggiare per la stanza, avanti e indietro, calpestandomi lo stomaco con la stessa noncuranza che aveva messo per l’orsacchiotto… era bellissimo, dopotutto era piccolina e non faceva molto male: un buon massaggio per i miei addominali, pensai.
Ma dopo più di mezz’ora lo stomaco mi doleva come non mai, divenivo viola in viso e la pregai di andare avanti col programma.
–Bene, caro… adesso leccami la fica, la voglio ben pulita…– Si accovacciò sulla mia bocca: per fortuna non era sporca, non lo avrei ammesso: che schifo leccare una fica che ha fatto pipì 3 ore fa e non è stata pulita, oppure peggio… la leccai per bene, con molto gusto.
Dopo un po’ mi misi seduto e lei mi incatenò con le mani dietro la schiena. Il mio cazzo era durissimo e dritto, aspettavo che il suo piedino di fata si appoggiasse sul tubo e lo schiacciasse dolcemente…
Lei guardò bene come poggiare il piede, la osservavo guardar giù, era bellissima… DOLORE!!! Un male atroce, mi sentii schiacciare fortissimo. Aveva posizionato il tacco con estrema precisione, ma non su tutto il cazzo: solo sul glande, la parte più molle e sensibile, e c’era salita con tutto il suo peso. “UAAAHH!!! MA CHE FAI, SEI PAZZA!!! IL MIO CAZZO!!!”. La mia reazione peggiorò la situazione, perché non solo rimase con tutto il suo peso sulla mia povera cappella, ma girò il tacco lentamente in modo alterno, come per spegnere una sigaretta.

Cominciarono ad uscirmi delle lacrime, tanto soffrivo: erano decenni che non ne versavo una… intanto, cessato di muovere il tacco, continuava a rimanerci su con tutto il peso.
–Principale, tutto bene?–.

Quella frase… l’avevo già sentita, quella frase! Ma chi è questa?
–Non ricorda? Ero nell’ufficio delle pubbliche relazioni, nella sua ditta… mi ha licenziata 7 anni fa, se non ricorda male: la prima persona licenziata, perché i clienti erano sempre meno e la colpa la diede a me, tacciandomi d’incompetenza… Le piace, che Le dia del Lei, principale?–. Sollevò il tacco dal glande, ma solo per riabbatterlo con forza su tutto il cazzo, schiacciandolo completamente sul linoleum, facendomi urlare come un ossesso.
–Cosa c’è, principale? Non è di suo gradimento questo trattamento?– Così dicendo mi diede un calcio nello stomaco, poi con lo stesso piede mi spinse sul torace, buttandomi supino. Cominciò a saltarmi sullo stomaco con forza e mi fece un male terribile, siccome le mani con relative catene vennero a trovarsi proprio dietro la schiena, sotto di esso. Quand’ebbe finito mi si accucciò sopra la bocca e vi diresse un getto di piscia salata, amara, bollente, che fui costretto ad inghiottire poiché mi investì anche sul labbro superiore, schizzandomi nel naso con costanza… “Liberami! Slegami queste catene di merda! Hai capito?!”. Mi guardò con aria di finta compassione. –Cosa ha detto, principale? Ha parlato di merda? Come fa a sapere che devo scodellarne un po’ ? Forse… forse mentre Le pisciavo in bocca mi sarà sfuggita qualche debole arietta… ma si, dev’essere così… va bene, principale, se ha così voglia La soddisfo io…–. Inorridii, serrai la bocca con forza. Lei mi chiuse il naso con le dita sperando che aprissi la bocca, ma lo feci a denti serrati, respirando.

–Guardi, la posso anche trattenere fino a domani, dato che è pochissima, ma sarà meglio che la mangi adesso: poi sarà molta, e dura. Cosa decide, principale?– Negai con forza scuotendo la testa, sempre a mascelle strette. Lei mi osservò un po’, poi parve arrendersi. –Va bene, principale… devo aver esagerato. Mi dispiace, ha il pene che perde sangue…– Prese una bottiglietta di disinfettante che aveva in un piccolo armadietto di pronto soccorso, nella stessa stanza. Era attrezzata proprio bene… mi asciugò delicatamente il sangue e tamponò con un batuffolo imbevuto di disinfettante le lesioni del glande. Ma non mi liberò. –Starà legato lì per tutta la notte: domani la libererò, ma a patto che apra la Sua signora bocca ed inghiotta le mie umili deiezioni. Se non lo farà, rimarrà lì dov’è, a vita. Buonanotte, principale… – e se ne andò via, spegnendo la luce e chiudendo la porta della stanza attrezzata.

Il cazzo mi faceva un male terribile, mi venivano rutti all’odor d’urina. Non volevo assolutamente mangiare anche la cacca, questo no! Dovevo liberarmi, non potevo dormire… anzi: non appena libero avrei aspettato il suo ritorno e la avrei frustata per bene, in faccia, con una delle fruste presenti nella stanza, la più grossa.
Provai e riprovai, insistentemente: le catene si allentavano pian piano, forse il fermo si stava piegando pian piano: dove sta questo cazzo di fermo, se lo sfilo faccio prima…
Sarò stato ore a provare e riprovare; finalmente le catene si sfilarono dai miei polsi. Mi spostai di alcuni passi, forse girai in tondo. Afferrai il pomolo della porta e tentai di aprirla, ma doveva essere chiusa, dato che non si muoveva. Decisi di fare un paio di passi indietro e di accomodarmi sulla moquette, vicino alla porta, aspettando che lei aprisse la porta: le sarei saltato addosso, l’avrei picchiata con forza. Sentivo già i rumori, era desta e sarebbe entrata da un momento all’altro nella stanza buia, priva di finestre. Un forte rumore: era entrata al buio. Sentivo muoversi qualcuno nella stanza, cercando di far silenzio: il suo delizioso profumo di femmina mi diceva che era lei, e che adesso era in trappola. Mi gettai contro la porta afferrando il pomello impedendogli d’uscire e premetti l’interruttore della luce, urlando: “ED ORA A NOI, BRUTTA PUTTANA SCHIFOSA!!!

La luce si accese, ma era quella della abat–jour comodino: l’interruttore pendeva affianco ad esso. Il pomo della porta era semplicemente il pomello del secondo cassetto, il primo ne era privo ed il tutto sembrava una porta, al buio. Ero alto si e no 25 centimetri. Mi girai lentamente, spaesato, incredulo, soprattutto intimorito. Nella penombra della stanza c’era lei, completamente nuda, con i pugni piantati nei fianchi. Indossava solo le scarpe, un paio con i tacchi a spillo. –Ha detto bene, principale: a noi… – Lentamente mi si avvicinò, dicendo con voce sempre più irritata: –Ma come, io Le do del Lei, La tratto con tutto il rispetto e mi ripaga con ‘puttana brutta e schifosa’? Ma s’è visto allo specchio che cesso di persona è?!– Cominciai a retrocedere, la sua voce si fece tigrosa: –Sei un cesso, un vero e proprio cesso immeritevole di rispetto, e da cesso ti adopererò: ti avevo avvisato che l’indomani ti sarebbe stato molto più difficile mangiare la mia merda, ma tu non mi sei stato a sentire, adesso sono cazzi tuoi!!! Sdraiati per terra, stronzo, o ti spiaccico in piedi come un cartone per il latte!!! Terrorizzato, cominciai a fuggire per la stanza e riuscii ad infilarmi sotto un armadio abbastanza basso, non riusciva a raggiungermi con le mani fino in fondo, per prendermi.

Approfittando di quei momenti strillai: “Non è possibile, è un incubo!!! Non posso essere così piccolo!!! Che cosa m’è successo?!?!?!” . Si fermò un attimo, visto che non riusciva a raggiungermi: completamente distesa per terra, i suoi seni poggianti morbidamente sulla moquette, la testa accomodata tra i palmi delle mani, con i gomiti poggiati a terra divaricati quasi al massimo, il viso atteggiato con un furbo sorriso di chi, in effetti, t’ha fregato.
–Sono anni che faccio la “Padrona”, oltreché la puttana: da quando mi hai mandata a fare in culo dalla tua azienda del cazzo m’è rimasta solo questo schifo di possibilità, per tirar su qualche soldo–
La voce s’era calmata, ma il linguaggio rimase volgare ed irrispettoso –e non credere che sia stata una scelta non sofferta, e tanto meno casuale. Ho raccattato i giornali che buttavi nel cestino che, per mancanza di personale di pulizia, IO ero addetta a vuotare a fine lavoro ed ho attentamente notato il segno di riconoscimento che mettevi, nella pagina delle inserzioni, a quelle che t’interessavano– “Ma che stai a dì?” –Scemo, credevi che non potessi scoprirlo? Annerivi l’interno dell’ultima lettera ‘o’ presente nell’annuncio, il resto va da sé.– Mi sentivo incazzatissimo, scoperto e pilotato. “Tu hai fatto l’annuncio ideale per me e ti sei messa ad aspettarmi! E perché dopo 7 anni?!” . –Prima cosa: la vendetta è un piatto da gustare freddo, è risaputo. Poi, avresti potuto riconoscermi, se non lasciavo passare abbastanza tempo. Inoltre dovevo pensar bene a cosa farti: avevo deciso di maciullarti sotto i piedi a grandezza naturale, ma quando mi hanno portato dal Brasile questo intruglio d’erbe e Sali che fa rimpicciolire non ho resistito al provarlo su di te– “Si, ma quando me l’hai somministrato?” –Quando ho disinfettato il tuo insulso appendice, deficiente! Allora, ti decidi ad uscire? Devo liberarmi e tu hai un impegno gastronomico con me!– Non mi mossi, anzi: mi rannicchiai meglio in fondo. –Ah, allora non ci fai, ci sei proprio… vediamo un po’…– si rigirò seduta ed infilò un piede sotto l’armadio, questo arrivava fino al muro. Mi spinse verso l’angolo e mi tirò fuori come se fossi una scarpa vecchia. Quando fui a portata di mano mi prese come un bambolotto e mi sollevò all’altezza del suo volto, osservandomi. Le sue mani meravigliose erano caldissime, mi coprivano interamente i fianchi. Non potevo fare a meno di guardarla tutta, era bellissima, così grande, poi… –Ti piacciono molto, le mie tette, vero? Chissà come sono morbide, ora, così grandi… su, toccale. Avanti...– Allungai esitante le mani, poggiandole con i palmi sui capezzoli, bastarono appena a coprirli. Erano ancor più caldi delle sue mani, liscissimi nella loro corona scura, turgidi come kiwi alle punte… –Gustatelo, questo contatto, poiché sarà l’ultima cosa piacevole che sentirai…– d’improvviso allentò la presa, mi sentii cadere e strinsi istintivamente le mani. Rimasi sospeso, appeso a quei deliziosissimi capezzoli, lei rise.

–Ah, vuoi stare appeso… quanto credi di poter resistere? Spero abbastanza, oh… delizioso, le tue mani sembrano due piccole bocche che mi succhiano… non puoi stringere un po’ più forte?–.
Cominciò a camminare per la stanza ed iniziai ad ondeggiare avanti ed indietro, come una scimmietta appesa ad un ramo. Stavo per cedere, quando mi sembrò di volare. S’era slanciata sul letto e mi ci schiacciò contro con le tette: lo slancio che aveva dato mi spinse poco più in alto di dov’ero. Si sollevò appena, ma per spostarsi appena di lato: mi indirizzò un capezzolo in bocca e si risdraiò comodamente. Era caldissimo, ma duro e ruvido; entrò tutto in bocca spalancandomela, mentre il resto del suo seno mi schiacciava con forza. L’aureola del capezzolo mi copriva tutta la faccia ed essendo liscissima non laciava passare l’aria: stavo soffocando.
Dopo un paio di minuti si sollevò, potei nuovamente respirare. Ma non feci in tempo a riprendermi che mi schiacciò nuovamente contro il letto, stavolta sedendosi sulla mia faccia. Risollevatasi un poco, ordinò: –Adesso leccami il culo, e vedi di metterci passione, chiaro? Avanti!– Timidamente allungai la lingua su quell’orifizio rosa scuro, lo toccai appena con la punta. Era liscio come l’aureola dei capezzoli, ma non altrettanto saporito. D’un tratto lo fece aderire alla mia bocca, con forza: per la verità lo sentii allargarsi un poco e prendere dentro anche il naso. Un violento getto d’aria fetida mi dilatò i polmoni, entrando a forza nel naso, scaldandomi il torace da dentro. –Ti avevo detto di leccare per bene, tu esiti ed allora beccati questa! Per qualche minuto sarà il tuo unico respiro, voglio che i tuoi polmoni se l’assorbano tutta…– Stava su di me e toccava col dito il mio corpo, gonfio come un pallone, godendo che così fosse per la sua flatulenza. Quando si levò mi sgonfiai lentamente, sentendomi alquanto debole… mi sollevò dal letto e mi depose sul linoleum, accucciandosi nuovamente su di me, ordinandomi d’aprire la bocca. Mi disse che era ora di pranzo… “No! No! Non posso! E poi, così piccolo, anche se volessi, come farei ad inghiottire una cagata del genere?!” –Ma se non ancora l’ho fatta… su, mi basta che ne mangi un po’… apri– e si rilassò, pian piano. Ancora varie puzze, rumorosissime e tremendamente fetide: sembrava che mi stessero suonando in faccia un trombone con le esalazioni d’una fogna… cominciò ad allargarsi, quel buco, pulsando come la bocca d’un pesce, ecco che una cosa uscì da esso. Era uno stronzo dall’aspetto molto duro, fatto da tanti pezzetti bitorzoluti compenetrati tra loro. Era corto, ma grande come una bottiglia da vino da 5 litri, per me. Mi cadde sulla fronte, per poi depositarsi nel senso della lunghezza su di me. Lei si sollevò e si mise a guardare. –Coraggio, inizia a staccare quei pezzi e masticateli. Ti dirò io quando basta.– Esitante, ma rassegnato, cominciai a mangiare. Pezzi grandi come mandarini e duri come non so cosa, ne inghiottii parecchi, davvero. Non ce la facevo più. –Allora… già sei pieno? Continua!– “No. Non posso. Sono pieno!”. –Allora non mi servi più, quindi… dopotutto mi sto stancando di sentirti, di vederti…– Prese il grosso pezzo di merda che avanzava: era la parte uscita dopo, quindi di consistenza pastosa; me lo sistemò sullo stomaco. Mi guardò negli occhi per un lunghissimo istante, in piedi, in silenzio. Alzò un piede, calzante ancora le scarpe con i tacchi a spillo, e puntò il tacco sulla merda. Affondò lentamente.

Il tacco trapassò la cacca ed entrò nel mio stomaco molle, fino a schiacciarmi la colonna vertebrale con un crocchìo tipico dello schiacciare una noce. Non riuscivo a credere, intontito dal dolore.
Sfilò il tacco e, con noncuranza, si allontanò un poco, togliendo le scarpe e calzandone altre con la suola larga e perfettamente piatta. Non riuscivo a muovermi, a malapena respiravo, quando la vidi accanto a me che lasciava cadere alcune gocce sulla cacca. Era ancora quel ‘disinfettante’, lo aveva lasciato cadere nel mio stomaco attraverso il buco sia in esso che nella cacca, ancora su di me.
Mi sentii rimpicciolire a vista d’occhio, stavolta: la merda non mutava e diventava sempre più grande e pesante rispetto a me. Adesso ero grande una decina di centimetri, poco meno della cacca che era su di me. La parte dura che restava era proprio sulla mia faccia, e la sentii premere su di me sempre più forte: aveva cominciato a schiacciare il tutto sotto il suo piede…

Non fu la sua suola a stritolarmi, ma la consistenza dei suoi escrementi: praticamente cedetti assieme a loro, mi sentii scoppiare, spiaccicare da una merda che si deformava, ma meno di quanto accadesse a me. Non vidi più nulla, la mia testa cedette all’improvviso. Lei rimase un po’ sopra a quell’impasto, schiacciandolo sul linoleum. Quando alzò la scarpa si accorse che era tutto rimasto attaccato ad essa, dato che la merda, anche se durissima, aveva fatto da adesivo sulla scarpa ed i miei poveri resti non aderivano per terra. –Ecco qua, principale… queste sono scarpe della tua ditta. Mai visto un imprenditore tanto attaccato ai suoi articoli…–

Fine.





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