Marianna
Part II sent by DollGuy and uploaded on data 30/January/2005 17:53:38
CAPITOLO I
Era un afoso pomeriggio d’estate. Marianna era vestita, come sempre, in maniera semplice: sandali infra-dito di plastica, un bikini indossato sotto un pareo annodato poco al di sopra dei glutei, ed una t-shirt che le lasciava scoperto il ventre e da cui straripavano i seni. Aveva sul bel naso degli occhiali da sole acquistati di contrabbando alla Duchessa; i lunghi capelli sciolti ondeggiavano nella brezza marina.
Si muoveva in fretta, nervosa, con il pacco sotto braccio, lungo le viuzze di Procida.
Non sapeva cosa contenesse, quel pacco sigillato. Avrebbe dovuto consegnarlo a qualcuno che si sarebbe fatto riconoscere con una frase convenuta: questo era tutto ciò che le avevano detto i compagni. Questo, e il fatto che il pacco era importante per la “resistenza palestinese”.
In effetti, si trattava di un favore che Jamaal, il compagno palestinese che costituiva la delegazione a Napoli del FPLP [Il Fronte Popolare di Liberazione della Palestina di George Habbash, gruppo che non ha mai accettato i negoziati con Israele. Ndr], aveva richiesto al collettivo.
E il collettivo aveva pensato a lei: non era ancora “bruciata”, non era mai stata una militante molto in vista, e non aveva partecipato a tante manifestazioni come gli altri.
Certo, Marianna era schedata: la Digos conosceva tutti loro, uno per uno; così come loro conoscevano uno per uno i volti degli agenti in borghese che li sorvegliavano. Ma la vacanza a Procida le offriva una buona copertura, e nelle viuzze sovraffollate, piene di turisti fino all’inverosimile, era facile passare inosservati.
Raggiunto il baretto convenuto, si sedette ad un tavolino, accavallando le gambe ben tornite, e ordinò una granita.
Tormentandosi nervosamente i lunghi capelli, si guardò attorno ansiosa.
Oltre che per il nervosismo dovuto alla situazione, Marianna era agitata anche per la frustrazione. Era sempre lei, o qualche altra ragazza, a svolgere i compiti più noiosi. Se la chiamavano per far qualcosa di più creativo, come parlare nelle assemblee, era solo in caso d’emergenza, come quella volta che erano riusciti, in 40, ad imporre l’occupazione della facoltà a 400 “contras”.
I Contras erano le truppe paramilitari pagate dagli USA per reprimere i Sandinisti del Nicaragua, negli anni ’80: Marianna e compagni chiamavano “contras” tutti gli studenti che non erano d’accordo con loro al 100%.
A volte trovava che i compagni le trattassero tutte con un po’ di sufficienza, lei e le altre compagne…
- Ma no! Che vado a pensare? Se continuo così mi metterò a sproloquiare come quelle isteriche piccolo-borghesi delle femministe! Sono compagni! -
Quest’ultimo pensiero spazzò via tutti i suoi dubbi: erano compagni, e non c’era bisogno di aggiungere altro.
Ad un tratto, una donna avvolta in una kefiah si sedette al suo tavolino, e pronunciò la frase convenuta.
Marianna rispose, ma si insospettì: perché indossare la kefiah? Non sarebbe stato più prudente venire senza?
Riguardo alla sicurezza, il gruppo di Marianna seguiva una serie di regole precise: mai fare nomi veri in corteo o in pubblico o con i giornalisti, ma usare nomi di battaglia; mai mostrare il volto a telecamere o macchine fotografiche; mai prendere decisioni importanti nell’aula del collettivo, che era sicuramente piena di microspie; mai parlare per telefono, che era sicuramente sotto intercettazione, né tramite e-mail o sms; inviare sempre i comunicati da postazioni Internet pubbliche; ecc.
Insomma, quel collettivo era una bella banda di paranoici. Perciò, il fatto che la donna avesse commesso una simile imprudenza, anche se si trattava di una compagna palestinese (Marianna non si sarebbe mai nemmeno sognata di criticare ad alta voce una compagna palestinese: non era mica come quella feccia dell’ANP, quei porci avevano venduto il proprio popolo alla CIA e al Mossad!), lasciava Marianna interdetta.
- Ciao! Sono Tahira. Sei stata brava. Ora dammi il pacco. -
E diceva pure il proprio nome! Magari era inventato…ma perché l’accento della donna le sembrava più napoletano che arabo?
D’istinto si ritrasse, solo per sentire qualcuno che la afferrava da dietro, mentre la presunta Tahira estraeva una pistola.
- Polizia! Non si muova e ci consegni il pacco! Poi le diremo quali sono i suoi diritti -
- Col c****! - pensò Marianna.
Un altro motivo per cui i compagni avevano scelto lei (ed anche un altro dei motivi per cui mi piaceva), era la sua forza fisica: Marianna era molto più forte di quanto apparisse. Infatti, con grande sorpresa dei poliziotti, riuscì a divincolarsi e fuggì a perdifiato verso il bordo della viuzza, spintonando i passanti.
Sapeva che lo stupore degli agenti non sarebbe durato a lungo, perciò non perse tempo e si lanciò verso il ripido costone su cui si inerpicava la viuzza. Ma inciampò, e cadde proprio sopra il pacco.
Qualcosa si ruppe, dentro la scatola, e per un attimo Marianna fu abbagliata da un lampo luminosissimo. Poi svenne.
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Marianna si svegliò su di un minuscolo banco di sabbia, che affiorava dal mare di appena qualche centimetro. Era talmente stretto, che parte del corpo della ragazza si trovava nell’acqua bassa (intorno al banco era profonda poco più di un centimetro): il pareo e i suoi capelli si erano parzialmente bagnati.
Sbattendo le palpebre, cercò di raccogliere le idee: si sentiva bene, anzi benissimo. In effetti era da tempo non si sentiva così piena di energia.
D’un tratto si ricordò del pacco, dell’isola, dei poliziotti, della fuga…Si alzò di scatto, accovacciandosi, pronta a scattare. Si guardò intorno, circospetta, scostandosi dal volto i lunghi capelli umidi.
Non c’era nulla: solo la piccola secca, il mare e la terraferma in lontananza.
Marianna era quasi sicura che fossero stati gli agenti a lasciarla lì: anche se un atto del genere le pareva un po’ strano, non aveva dubbi sul sadismo dei “custodi dell’ordine”.
- Magari mi hanno pure violentata! – pensò per un attimo. Ma poi scartò quell’idea, non foss’altro perché i vestiti non erano stati strappati, e li aveva ancora tutti addosso.
Guardò di nuovo la terraferma, e le parve stranamente distorta. Attribuì il fenomeno a un effetto dello svenimento e non se ne curò. Scartò immediatamente l’idea di tornare a nuoto: avrebbe aspettato che tornassero a prenderla. Doveva trattarsi di un nuovo metodo per estorcere informazioni ai prigionieri. Beh, col c**** che avrebbe parlato. Eppoi, i compagni avrebbero sicuramente trovato un avvocato: doveva solo tenere duro fino ad allora.
Si guardò di nuovo attorno, con più attenzione ‘stavolta, ma non c’era proprio nulla da vedere…
Perplessa, abbassò lo sguardo sul banco di sabbia sotto il suo petto: a vederlo meglio, non era sabbia, anche se era estremamente friabile al tatto. Era ricoperto di muschio, pur non essendo uno scoglio. Marianna lo sfiorò delicatamente con le dita, e tanto bastò perché venisse via, insieme a parte del terreno.
- Com’è delicato! – pensò Marianna – Però, che strano! E’ asciutto. -
Questo le fece venire in mente che non sentiva il rumore delle onde, pur essendo in mezzo al mare. Si guardò intorno, e difatti il mare era insolitamente piatto. Eppure la brezza la sentiva, anzi era decisamente più forte.
Tutto ciò le pareva strano, ma Marianna era laureata in Lettere moderne, e le scienze naturali non l’avevano mai interessata.
Nonostante il vento, le pareva che il caldo fosse molto aumentato, per cui si levò il pareo e la t-shirt, e li ripiegò appoggiandoli sul muschio.
Non avendo altro da fare, si inginocchiò ad esaminare quello strano pezzetto di terra.
Si accorse che sotto le sue gambe il terreno era diverso: c’erano numerosi quadratini bianchi, disposti in maniera più o meno regolare. Quasi tutti erano stati polverizzati dalle sue cosce e dalle sue ginocchia, per essere poi spazzati via dal pareo, ma qualcuno era ancora intero, specie quelli vicino all’acqua.
Marianna si girò, e avvicinò il volto a pochi centimetri per osservarli meglio. A questo punto il suo sguardo fu attirato da qualcosa che si muoveva in acqua. Stringendo gli occhi, vide che si trattava di diversi giocattoli: miniature di navi, per la precisione, lunghe da 1 a 5 centimetri.
Molto sorpresa per quella scoperta inattesa, la ragazza riconobbe, in una delle miniature più piccole, una copia del traghetto con il quale era arrivata sull’isola. Sorrise.
- Che carine! – esclamò, allungando la mano.
La barchetta si rivelò incredibilmente fragile: malgrado l’avesse raccolta con delicatezza, le sue dita stritolarono il modellino fino a deformarlo completamente.
- Bleah! Ma cos’è? – disse, schifata, vedendo degli insettini, non più lunghi di 2 millimetri, sbucare dalla miniatura per finirle sulle dita.
Gettò il giocattolo a terra, osservandolo meravigliata mentre si disintegrava al contatto con quella che pareva una minuscola esplosione, invece di rimbalzare come tutti i giocattoli che aveva visto.
Non fece in tempo a chiedersi il perché di quello strano fenomeno, perché sentì qualcosa che le solleticava la parte inferiore del culo, lasciata scoperta dal costume. Incuriosita, grattandosi il didietro, si voltò, ma non vide nulla. Il solletico riprese, questa volta sulla parte anteriore della coscia.
Stringendo gli occhi, scorse un’altra nave in miniatura, lunga poco più di 1 centimetro. Avvicinando il volto per guardare meglio, notò dei microscopici flash, quasi impercettibili. Subito sentì di nuovo quel solletico, questa volta sul viso. Non fece in tempo a meravigliarsi per quella cosa strana, che sentì un rumorino, come il suono che possiamo udire dagli auricolari di un walkman dopo averli allontanati dalle orecchie, ma ancora più flebile. Marianna dovette accostarvi l’orecchio per riuscire a distinguerlo.
Si trattava di parole, e provenivano dalla barchetta di fronte a lei.
- Gigante! Siamo della Guardia Costiera. Arrenditi o riapriremo il fuoco!”
Marianna era incredula. Poi sorrise, pensando che doveva essere un giocattolo parlante. Quel modellino era proprio accurato, chissà quanto costava!
Sempre sorridendo, infilò due dita sotto la micro-nave e la sollevò fino al volto, questa volta con molta più delicatezza. Notò che era, in effetti, una riproduzione perfetta di una moto-vedetta. Il fabbricante doveva essere proprio bravo!
Di nuovo, il giocattolo produsse quegli infinitesimali lampi, e di nuovo la ragazza si sentì solleticare le labbra turgide e il naso. Il suo sorriso si allargò, ed emise un risolino.
- Allarmi! – disse, scherzosa – Il gigante attacca! Fuoco a volontà! -
A questo punto, vide di nuovo gli insettini.
Questa volta li osservò meglio.
E il sorriso le morì sulle labbra.
- Non può essere! – sussurrò. E strinse le palpebre per veder meglio, portando l’oggettino a pochissimi centimetri dagli occhi.
Sulla miniatura che teneva tra l’indice e il pollice c’erano degli omini microscopici, lunghi meno di 2 millimetri, che si portavano le minuscole braccia verso la testolina. Erano appena visibili: ne distingueva a malapena i movimenti, e solo sforzando gli occhi fino a farle male.
Inebetita, allontanò la nave dagli occhi che ormai quasi le lacrimavano per lo sforzo.
Poi all’improvviso, capì cosa poteva essere successo.
Il pacco.
Marianna sussurrò una bestemmia.
Per quanto assurda, non vedeva altra spiegazione: in commercio c’erano giocattoli che rappresentavano veicoli da guerra in miniatura, e modellini che riproducevano navi militari, ma nessuno era in grado di fornirli di un equipaggio semovente.
Guardò di nuovo il “banco di sabbia”. Per vederlo meglio si alzò in piedi.
Ora la riconosceva. L’aveva vista una volta in una foto aerea.
Era Procida.
Un’isola di 4 km quadrati ora non riusciva nemmeno a sostenere il suo corpo per intero.
Doveva essere alta ben più di un chilometro.
- Era dunque questo quello che volevano i compagni palestinesi! In effetti, così gli shahid [i martiri suicidi. Ndr] non avrebbero più bisogno di sacrificarsi: potrebbero schiacciare quei nazi-sionisti di merda sotto i loro piedi, letteralmente…- pensava.
Questo spiegava anche perché sentisse tanto caldo: si ricordava vagamente di quando un compagno del collettivo di Fisica le aveva spiegato qualcosa che si chiamava “dispersione termica”, o qualcosa di simile, e della relazione tra essa e le dimensioni di un oggetto.
Osservò ancora l’isola.
Il muschio era in realtà un bosco: ecco perché era asciutto!
E i quadratini…case!
- Oddio! -
Lì vivevano 11.000 persone…
Marianna fu rapida a giustificarsi: lei era svenuta, e poi non ne sapeva nulla. Inoltre, ciò non sarebbe avvenuto se non fossero intervenuti quegli sbirri di merda. E comunque erano quasi tutti turisti borghesi, probabilmente benpensanti fascisti, e…
Fu interrotta nelle sue elucubrazioni da un nuovo attacco di solletico, e notò di nuovo la nave: l’aveva tenuta tra le dita, all’altezza del petto, e ora la minuscola moto-vedetta stava sparando con tutto ciò che aveva contro la sua colossale tetta destra, laddove il bikini lasciava scoperte vaste distese di carne.
Nella mente della ragazza si agitarono pensieri contrastanti: rabbia per essere stata interrotta nei suoi pensieri da degli “sbirri assassini”, ma anche una crescente euforia mentre constatava di essere praticamente invulnerabile, invincibile…
Lentamente, il sorriso le tornò sul volto, ma questa volta con una luce diversa negli occhi, una luce cattiva.
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La moto-vedetta stava svolgendo servizio di pattuglia nei pressi dell’isola, quando il cielo fu nascosto alla vista da un immenso lampo, seguito da un rombo fortissimo. Gli agenti ebbero appena il tempo di recuperare l’uso della vista, che un potente spostamento d’aria spazzò l’imbarcazione, mentre un’ondata di marea si avvicinava alla nave.
Il comandante urlò degli ordini, e i suoi uomini riuscirono miracolosamente a salvare l’imbarcazione dall’affondamento.
La spiegazione più logica che gli venne in mente fu che sull’isola fosse scoppiata una bomba atomica. Un attacco terroristico? Anche se spaventato all’idea di doversi imbattere nelle radiazioni, l’ufficiale ordinò di far rotta verso l’isola per soccorrere eventuali superstiti. Poi, lui e il suo equipaggio videro qualcosa di inconcepibile.
Sull’isola era apparsa dal nulla una massa non identificabile, alta almeno 200 metri, lunga quasi quanto l’isola stessa, e molto più larga. Era composta di diverse parti, di colori diversi. Da una delle sue estremità venivano dei rombi assordanti, mentre si udivano dei potenti tonfi ritmati provenire apparentemente dal suo interno.
Poi, improvvisamente, la cosa si mosse. Ritirò le sue lunghissime appendici verso di se, e puntellandosi con esse cominciò a salire ad una velocità inimmaginabile. E a salire. E a salire…
Il suono di un’esplosione li assordò momentaneamente, e il capitano comprese che doveva trattarsi di un boom sonico: la cosa si muoveva così in fretta da infrangere il muro del suono.
In breve la cosa si fermò, svettando ad un’altezza di almeno 800 metri. E allora riuscirono a vederla.
Una donna.
Una giovane donna.
Un’incommensurabile ragazza, tanto grande da sfidare ogni immaginazione. Era così alta che era difficile distinguerne i tratti del volto…eppure si trovava in ginocchio!
I possenti movimenti della titanessa provocarono delle scosse sismiche, mentre lo spostamento d’aria da lei creato dava origine a forti correnti d’aria. I guardacoste furono così occupati per un po’ a tenere il controllo dell’imbarcazione.
Un tuono fortissimo ferì i loro timpani, distogliendoli da queste incombenze: Marianna aveva sussurrato. Rivolsero nuovamente lo sguardo alla montagna umana, con orrore la videro catturare un traghetto, stritolarlo fra le dita e poi, dopo aver cacciato un urlo tale da rintronarli, lanciarlo al suolo, dove esplose con uno scoppio assordante.
Inorridito, il comandante, massaggiandosi le orecchie doloranti, ordinò di portarsi a distanza di tiro, e i coraggiosi agenti, seppur terrorizzati, obbedirono.
Davanti a loro, tenuto a stento dal bikini, si estendeva la montagnosa immensità del culo di Marianna; una mostruosa rotondità, alta centinaia di metri e ancora più larga. Era così colossale che gli uomini credettero di impazzire.
Il capitano fu rapido a impartire i comandi: ordinò di puntare sulla parte inferiore del gluteo sinistro, nel punto non coperto dal tessuto, nella speranza che i colpi fossero più efficaci. Pur trattandosi solo di una frazione del didietro della ragazza, il bersaglio era decisamente impossibile da mancare; anzi, era così vasto che c’era l’imbarazzo della scelta…
Gli agenti fecero fuoco, e i proiettili dei cannoncini colpirono la pelle abbronzata, ma apparentemente senza perforarla.
Prima ancora che potessero sparare ancora, la gigantesca mano sinistra di Marianna, lunga più di 70 metri, calò fulminea sul posteriore, e cominciò a grattare la parte colpita con quegli unghioni enormi.
Le sue immense chiappe furono così sballottate su e giù: ne seguì un sisma terrificante, non tanto per l’intensità delle vibrazioni, quanto per la loro rapidissima frequenza. Pareva che un dio stesse martoriando la terra con un gigantesco martello pneumatico.
La colossa si girò quindi su sé stessa, provocando, così, altre scosse di terremoto. Poi si fermò.
Il comandante della moto-vedetta stava ormai lottando per mantenere il controllo di sé stesso, e non lasciarsi andare ad una crisi di nervi. Ci riuscì di poco, e ordinò di riaprire il fuoco. ‘stavolta, davanti a loro si stagliava la chilometrica coscia di Marianna, alta più di 100 metri, e così lunga che non gli riuscì di afferrarla tutta con lo sguardo.
Ancora una volta, i cannoni della nave non riuscirono a ferire la pelle della ragazza. Quegli sventurati erano però riusciti ad attirare la sua attenzione.
Era un’immagine terrificante: nessuna valanga, nessun cataclisma naturale poteva reggere il confronto con lo spettacolo di quel corpo smisurato che si piegava sul piccolo scafo, gettando un’ombra scura e fredda su di esso e per centinaia di metri intorno.
L’equipaggio dei guardacoste era ai limiti dell’isteria: il volto di Marianna, da solo, era alto circa 300 metri: le sue labbra erano più spesse di quanto la nave fosse alta, e la bocca era larga decine di metri. I suoi denti erano grandi come case. Un plotone avrebbe potuto marciare tranquillamente in ciascuna delle sue narici: da esse, poi, andavano e venivano venti così forti da sollevare grandi onde, tanto che gli uomini dovevano aggrapparsi ai mancorrente per non essere spazzati via. Il suo naso si innalzava per decine di metri. Le guance avevano un’estensione pari a svariati ettari. Quanto ai suoi occhi, erano così grandi che forse la nave avrebbe potuto galleggiarci sopra. Il tutto era contornato da una massa di capelli spessi come tronchi, così immensa che non si riusciva a stimarne le dimensioni.
I cannonieri persero la testa, e fecero fuoco senza aspettare gli ordini. Spararono alla cieca ma, pure così, non fu possibile mancarla. Ancora una volta senza risultato.
L’inflessibile capitano riuscì, abbaiando ordini, a rimettere gli uomini in riga. Poi afferrò il microfono:
- forse – pensava – posso risolvere questa faccenda in un altro modo -
Parlando nell’altoparlante, intimò la resa alla gigantessa. A questo punto, Marianna accostò l’orecchio. Era un orecchio spaventoso, così grande che la vedetta si sarebbe potuta infilare nel canale auricolare. Il comandante ripeté il suo ordine.
La ragazza si raddrizzò, e gli uomini a stento riuscirono a non essere spazzati via dallo spostamento d’aria, o assordati dal boom sonico.
Poi videro che la bocca della dea si allargava ancora, fino ad estendersi per 100 metri da un angolo all’altro: Marianna stava sorridendo.
La videro poi allungare il suo braccio destro, lungo 600 metri, compresa la mano, e immergere nell’acqua due dita, ciascuna delle quali più spessa della moto-vedetta. Le onde che ne nacquero strapazzarono il povero battello, ma ben presto il rollio cessò, per essere sostituito da una vertiginosa accelerazione verso l’alto. Poi una massa enorme, parecchie volte più grossa della nave, si schiantò su di essa, schiacciandola in parte: Marianna aveva appoggiato il pollice sullo scafo perché non cadesse, con tutta la delicatezza di cui era capace. I marinai riuscirono per miracolo ad evitare di finire schiacciati, e a sopravvivere alla spaventosa accelerazione.
Di fronte a loro apparve l’immagine di chilometri quadrati di pelle abbronzata che sfilavano davanti ai loro occhi: il ventre di Marianna.
Quindi spuntarono i seni: erano due montagne rivestite in parte di tessuto. Ognuna delle due mammelle era alta 200 metri, larga 250, e spuntava dal petto per 150 metri. Alcuni marinai bagnarono le mutande contemporaneamente davanti e di dietro, per l’eccitazione e per la strizza.
Dopodiché sfilò davanti a loro, rapidissimo, il suo petto, tanto vasto da poter contenere una cittadina, poi il suo titanico collo, e infine di nuovo il suo volto.
Nell’equipaggio ogni parvenza di disciplina era ormai scomparsa: anche l’eroico capitano aveva ormai ceduto. Tutti gli uomini, ormai, non facevano altro che sparare sulla ragazza con tutto quello che avevano.
Il sorriso di Marianna si allargò ancora. Quindi emise il suo risolino.
Per quei poveri disgraziati fu come accostare l’orecchio a una batteria di cannoni di grosso calibro nel momento dello sparo.
E non era finita: la ragazza parlò, terminando l’opera. Gli agenti erano ormai tutti completamente sordi, e per lo più completamente pazzi. Ormai non riuscivano a pensare ad altro che a far fuoco, nella vana speranza di allontanare da sé quella montagna umana, allo stesso tempo così terrificante e così sexy.
A questo punto, la gigantessa li vide.
Li avvicinò ancor di più ai suoi occhi, e i poveretti videro quei due immensi laghi che erano i suoi occhi crescere davanti a loro, fino ad occupare tutto il loro spazio visivo.
Quindi, la colossa si alzò in piedi, e gli uomini furono di nuovo compressi dall’accelerazione. Una volta fermi, le loro menti sconvolte riuscirono a riconoscere uno dei seni della ragazza: il minuscolo scafo era all’altezza dei capezzoli, per cui i marinai ne vedevano solo una parte, ma anche così la sua tetta destra torreggiava di fronte a loro. Di fronte all’immensa mammella, la moto-vedetta sembrava un piccolo insetto. Davanti a loro, una piccola porzione di tetta era lasciata scoperta da un buco nel reggiseno: era un buco piccolissimo, tanto insignificante che Marianna non l’aveva mai notato; piccolo com’era, appariva invisibile rispetto all’immensità di quel seno. Era così minuscolo da essere largo solo una mezza dozzina di metri. Attraverso uno strappo così infimo, la moto-vedetta sarebbe potuta passare tranquillamente. Su quel minuscolo quadratino di pelle, largo quasi quanto un campo di tennis, gli uomini puntarono le loro armi e fecero fuoco.
Continua...
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