Marianna
Part III sent by DollGuy and uploaded on data 30/January/2005 17:54:52
CAPITOLO 2
Io ho la fortuna di abitare in collina: dal balcone di casa, frutto dei sudati risparmi dei miei genitori, si vede molto bene il golfo di Napoli, e si intravede buona parte dell’hinterland; quando il cielo è limpido, dopo che un acquazzone ha lavato via dal cielo lo smog, si possono scorgere anche alcune isole. E così, mentre mi godevo il bel tempo, ammirando il panorama con una bevanda fresca in mano, intravidi all’orizzonte qualcosa di stranissimo: prima ci fu un forte bagliore, visibile malgrado il sole brillante, e dopo un po’ mi parve di vedere una massa lontana. Questa massa era molto distante, contornata da quell’alone blu di cui ci appaiono soffuse le montagne, quando le vediamo stagliarsi all’orizzonte; e dato che riuscivo ad intravederla da così lontano, doveva essere immensa.
Non vivevo lì da molto, e non potevo certo dire di conoscere a menadito la zona; inoltre la geografia non è mai stata il mio forte. Però avrei giurato che quella montagna così alta, lì in mare, prima non ci fosse…
Ma la cosa più strana era che…no! Impossibile!…pare che…si muova?…
Pensai che, per la prima volta in vita mia, mi erano venute le allucinazioni. In effetti ho sempre avuto una fantasia molto fervida, e un grande spirito polemico, tanto che spesso, non trovando interlocutori sotto mano, mi metto a discutere animatamente con me stesso…però non m’era mai capitato di veder cose che non esistono…
E’ anche vero che mi piace bere forte, e a volte bevo più di quanto sia consigliabile…ma in quel momento ero sobrio, e sono ancora ben lontano dal soffrire di delirium tremens…
Mi stropicciai gli occhi, ma non feci in tempo a posare nuovamente lo sguardo su quella figura, che il pavimento cominciò a tremare.
Dato che qui si vive in zona sismica, tutti quelli di noi che hanno più di 20 anni hanno avuto a che fare almeno una volta con qualche scossa di terremoto.
Così, quando sentimmo i tremolii, lasciammo i nostri appartamenti e scendemmo in strada, senza troppo chiasso. Tanto più che erano di bassa intensità, e per strada li si sentiva appena.
Non facemmo certo caso alla frequenza delle scosse, anche se qualcuno si sarà incuriosito: erano stranamente discontinue. Comunque, avevamo altro per la testa. Io, poi, non mi toglievo dalla mente quello che mi pareva di aver visto…mi ero fatto visitare da uno psicologo una volta, per un paio di mesi, a causa dei miei problemi di concentrazione e della mia timidezza con l’altro sesso: magari avrei dovuto rivederlo, e raccontargli ‘sta cosa.
Il punto è che quella figura pareva avere dei contorni umanoidi…e io sono sempre stato ossessionato, sessualmente ossessionato, dall’idea di colossali ed inarrestabili gigantesse. Ero inquieto.
- Vuoi vedere che sto cominciando a perdere i contatti con la realtà? -
Venni distolto dalle mie riflessioni da un fenomeno molto strano: le scosse, dopo qualche minuto non erano cessate. Anzi, ora si ripetevano con un curioso ritmo cadenzato…e sembrava che stessero aumentando d’intensità!
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Marianna si era sbarazzata della motovedetta, semplicemente appoggiandola piano sul costume, all’altezza del suo enorme capezzolo, il cui diametro era pari a molte volte la lunghezza del battello: tanto era bastato per schiacciare totalmente la nave.
All’inizio, aveva pensato che avrebbe potuto giocare ancora con quella minuscola imbarcazione: l’idea di poter “dare una lezione a quei porci” senza correre rischi la rendeva euforica, e il solletichino prodotto dalle loro microscopiche armi era molto piacevole, leggero com’era. Però dopo un po’ pensò che era persino troppo leggero: avrebbe desiderato qualcosa di più forte. Inoltre, di sbirri e “militari assassini” la regione era piena.
Ma poi, perché limitarsi alla regione? Grande com’era avrebbe potuto pensare…più in grande!
Rivolse di nuovo lo sguardo verso la terraferma. Ora capiva che l’immagine che vedeva non era distorta, come aveva creduto: era solo una questione di prospettiva. La riva era veramente molto meno distante, almeno dal suo punto di vista. D’un tratto, l’idea di raggiungerla non le sembrava più tanto folle. Analizzò la situazione.
Procida, tra tutte le isole abitate del Golfo, è quella più vicina a Napoli. I fondali attorno all’isola sono profondi solo 20 metri (per lei erano 2 centimetri). Non sapeva quale fosse la massima profondità del braccio di mare che la separava dalla città, anche se le pareva di ricordare che, al largo, il Tirreno arrivasse ad un massimo di 5000 metri. Però, così vicino alla costa, le acque dovevano essere molto più basse: quel tratto non doveva essere insuperabile per lei, ora che era mille volte più alta di prima. Al limite, forte com’era, una nuotatina non sarebbe stata un problema; anzi, col caldo che provava, le pareva una prospettiva attraente.
- Che diavolo! – pensò - Se ce la fanno quelle barchette lunghe 1 centimetro, per me sarà uno scherzo! -
Guardò i suoi vestiti, i suoi sandali e suoi occhiali da sole. Avrebbe dovuto portarli con sé?
- Ma di che mi preoccupo? – pensò – Non possono mica rubarmeli! E poi, con questo caldo non riuscirei a sopportarli! -
Decise di prendere solo i sandali, ma senza infilarseli, e si accovacciò per raccoglierli. Prese anche gli occhiali da sole, ma se li infilò nell’ampio reggiseno: quelle formichine erano già difficili da scorgere in condizioni normali, non era il caso di rendere le cose più difficili…
Stava per rimettersi in piedi, quando sentì provenire un lieve ronzio all’altezza dell’orecchio.
- Zanzare! – fu il suo primo pensiero. E d’istinto agitò la mano per scacciarle. Sentì qualcosa sfiorare il dorso delle sue dita, e notò delle minuscole scintille. Poi le tornò in mente che non esistono zanzare tanto grandi. Scrutò intorno a sé con maggiore attenzione.
Li vide. In confronto a lei erano effettivamente grandi come zanzare, lunghi come la moto-vedetta, ma ancora più esili: un paio di elicotteri. Azzurri, probabilmente della Polizia.
- Devono averli mandati a vedere cos’è successo – pensò la ragazza.
Non poté fare a meno di sorridere: parevano così insignificanti! Erano così piccoli che le era difficile anche solo scorgerli!
I piloti non credevano ai loro occhi: avevano ricevuto l’ordine di investigare sullo strano e preoccupante fenomeno, così simile ad un’esplosione, che pareva si fosse verificato a Procida. Né loro, né i loro superiori avevano dato credito alle urla isteriche degli equipaggi civili, che negli SOS alla radio blateravano di mostri, dei, giganti e gigantesse che avrebbero schiacciato l’isola. Però il bagliore era stato ben visibile.
Anche loro avevano pensato ad un’esplosione atomica, ma l’idea era stata scartata dai loro superiori: in quel caso, avevano detto, la luce avrebbe dovuto essere molto più forte, e il capoluogo avrebbe già dovuto essere raggiunto dall’ondata di calore. Perciò i piloti, pur essendo inquieti, fecero rotta sull’isola senza temere un avvelenamento da radiazioni. Comunque per sicurezza volarono alti, ad almeno 600 metri di quota.
I loro occhi videro facilmente Marianna, ma i loro cervelli si rifiutarono di registrare quello che vedevano gli occhi: un essere umano così grande era semplicemente impossibile. Così, non si resero conto della verità finché non andarono a sbatterci contro…
Uno dei piloti si era avvicinato a circa 200 metri, ritenendo fossero sufficienti come distanza di sicurezza. Poi era successa una cosa inconcepibile: l’immensa massa davanti a loro cominciò a calare ad una velocità supersonica. Il boom sonico fece loro credere, per un attimo, di essere sotto attacco, ma delle formidabili correnti d’aria si erano levate da chissà dove, cosicché i piloti non poterono pensare ad altro che a mantenere l’assetto di volo.
Poi, ad un tratto, una cosa enorme, lunga più di 100 metri, spazzò il cielo là dove si trovava l’elicottero più vicino; fu così veloce che gli altri due piloti non riuscirono a distinguerla. Il suono dell’elicottero che esplodeva venne quasi coperto dal boom sonico che ne seguì.
Gli equipaggi dei 2 elicotteri superstiti non fecero in tempo a rendersi conto della morte dei loro colleghi, che la sommità della “montagna” si voltò.
A questo punto, la riconobbero per ciò che era. All’improvviso, capirono che gli SOS lanciati dalle imbarcazioni erano veritieri: una donna di dimensioni inconcepibili esisteva davvero, era lì, davanti a loro, e aveva appena polverizzato uno dei loro elicotteri senza sforzo apparente.
Quindi, successe una cosa ancora più terrificante: la colossa li vide; e sorrise.
Gli agenti fecero due più due, e si sentirono gelare, malgrado l’afa estiva. Quella giovane donna, le cui dimensioni immani non facevano che amplificarne la bellezza, aveva cancellato dalla faccia della Terra migliaia di persone, centinaia di case, decine di veicoli e natanti, un aeromobile. L’aveva fatto con noncuranza, forse senza rendersene neanche conto. E, a quanto pareva, ne era contenta, addirittura felice.
Terrorizzati, i piloti fecero fuoco. Ma quelli non erano elicotteri da guerra, erano equipaggiati solo con mitragliatrici leggere: Marianna non se ne accorse neanche.
Lei allungò piano la mano destra per afferrarne delicatamente uno tra l’indice e il pollice.
Il pilota si vide arrivare addosso due appendici enormi, grandi svariate volte più dell’elicottero, ad una velocità elevatissima: erano la punta delle dita di Marianna. Ebbe solo il tempo di urlare: i due immensi polpastrelli coprirono completamente il velivolo, con tutte le eliche, e lo schiacciarono in un istante.
La ragazza sentì qualcosa sfiorarle la punta delle dita, e notò appena una minuscola scintilla sotto i suoi polpastrelli. Quando guardò cosa aveva preso, non riuscì a distinguere nulla di visibile.
Scoppiò a ridere.
- Ma come siete delicati! – disse – Mi fate quasi tenerezza! -
Gli uomini nell’ultimo elicottero, dopo aver assistito con orrore alla morte dei loro colleghi, riuscirono a malapena a sopravvivere alla risata della gigantessa: l’apparecchio fu sballottato dal suo respiro, e le onde sonore erano così forti da incrinarne la struttura esterna.
Presi dal panico, voltarono l’elicottero per fuggire a tutta velocità, urlando come dei disperati alla radio. Gli ordini trasmessi dalla base non valsero a far loro riprendere il controllo.
La ragazzona li guardò allontanarsi piano piano, divertita.
- Sono anche più lenti di una zanzara! - pensò
Non si fidava più ad afferrarli: per quanta attenzione potesse metterci, quei patetici insetti erano decisamente troppo fragili. Però non voleva lasciarli andare così: erano troppo divertenti!
- Idea! – pensò.
Strinse le labbra a “O”, e cominciò ad aspirare.
Il pilota sentì che l’elicottero veniva bruscamente strattonato all’indietro da un fortissimo risucchio d’aria. Tentò di accelerare ancora, ma per quanto sforzasse i piccoli motori fino a surriscaldarli, le sottilissime eliche del suo minuscolo apparecchio non potevano nulla contro il possente diaframma e gli sconfinati polmoni di Marianna: inesorabilmente, veniva trascinato verso la sua bocca cavernosa.
La gigantessa non riuscì ad aspirare a lungo: vedere quella zanzara metallica che veniva sopraffatta malgrado i suoi risibili sforzi, e da qualcosa di così insignificante come il suo respiro, era troppo buffo! Per quanto cercasse di non ridere, non poté fare a meno di cacciar fuori l’aria di botto, per emettere un risolino.
L’improvviso cambiamento di corrente fu troppo per il martoriato velivolo, tanto più che questa nuova bufera era ancora più forte della precedente: il pilota perse il controllo, e l’elicottero cominciò a precipitare verso le cosce ripiegate di Marianna, 500 metri più in basso. Capì subito che, anche qualora la carne della gigantessa si fosse rivelata morbida come sembrava, non sarebbe comunque sopravvissuto all’impatto. Poi, senza preavviso, vide una forma colossale materializzarsi 100 metri sotto di lui.
La gigantesca ragazza, dopo qualche secondo, aveva capito che l’apparecchio era in difficoltà, e aveva avvicinato la sua manona a 10 centimetri da esso, lentamente, così da non squilibrarlo ulteriormente.
Marianna aveva sempre avuto delle manine piccole e delicate. E infatti, la mano della giovane leviatana era così corta ed esile, che la ragazza se ne vergognava un po’: era lunga appena 150 metri! Il microscopico pilota, vedendo quel palmo massiccio, largo almeno 50 metri, decise di tentare un atterraggio di fortuna: di spazio ce n’era!
La titana dovette stringere gli occhi per distinguere il minuscolo elicottero: era così piccolo e così sottile da perdersi di fronte al palmo di Marianna; solo la differenza di colore le permetteva di vederlo. Poi sentì che le sfiorava la pelle, ma non poté esserne sicura: era una sensazione troppo lieve.
L’aeromobile si schiantò con violenza sulla carne della ragazza, ma il pilota era riuscito a rallentare la discesa quel tanto che bastava perché non andasse in pezzi.
Stringendo gli occhi, a Marianna parve di vedere i microscopici omini dell’equipaggio uscire dal velivolo, ed allontanarsi molto lentamente da esso.
In effetti, gli uomini stavano correndo all’impazzata, inerpicandosi sulle dune di carne di quello smisurato palmo, e rotolando lungo i suoi pendii, per allontanarsi dall’elicottero: ed infatti, l’apparecchio esplose, e lo spostamento d’aria li scaraventò “a terra”.
La colossale ragazza notò appena lo scoppio sulla sua mano: vide solo un piccolissimo lampo, e le parve di sentire un flebile “pop”, provando un po’ di solletico per la forza dell’esplosione.
Gli uomini si alzarono in piedi, e non poterono fare a meno di notare quanto la pelle di quella smisurata creatura fosse morbida e liscia. A questo punto, alzarono gli occhi e videro il terrificante spettacolo del bel volto di Marianna che li scrutava, sorridendo, a 100 metri di distanza.
Pazzi di terrore, tirarono fuori le pistole d’ordinanza e spararono contro quegli occhi sconfinati.
Lei non se ne accorse nemmeno. Curiosa, avvicinò la punta dell’indice sinistro agli insettini, lunghi meno di 2 millimetri, per spiarne le reazioni. Le parve che, alla vista del suo dito, avessero ricominciato a muoversi, ma le era difficile esserne sicura: erano troppo piccoli per distinguerne i movimenti.
Difatti, gli uomini furono terrorizzati vedendo avvicinarsi a loro quella lunga massa di carne, più grossa e veloce di un pendolino: scapparono a perdifiato, sparando contro di esso.
Marianna cominciò ad annoiarsi: quelle formichine erano davvero troppo piccole, non erano divertenti! Meglio andare in cerca di qualcosa di più grosso, e magari meglio armato.
- E ora cosa faccio di voi? – chiese. Li immaginò, più che vederli, portarsi le manine alle orecchie per tentare invano di proteggerle dall’insopportabile tuono della sua voce. Poi, ripensando al loro elicottero, le venne un’idea.
Portò la mano alla bocca, facendo morire di strizza e di eccitazione gli agenti: vedere avvicinarsi, a una velocità vertiginosa, quell’immensa caverna, fornita di denti colossali e contornata da labbra carnose, sconfinate e sexy, era più di quanto potessero reggere.
Poi, videro che la colossale bocca si stringeva, e si sentirono improvvisamente trascinati verso di essa da un irresistibile risucchio d’aria: in pochi attimi, si ritrovarono lanciati a velocità folle entro quella bocca titanica e sensuale; urlando disperati, volarono lungo tutta la lunghezza di quella lingua che sembrava non dovesse mai finire, mentre la luce del giorno si allontanava celermente dietro di loro. Atterrarono violentemente in una sorta di stagno: la caduta era stata attutita dalla saliva e dalla morbidezza della mucosa. Senza preavviso, il “suolo” fu preda di immani sconvolgimenti: gli infelici omini furono risucchiati, e poi maciullati, dai poderosi muscoli della gola di Marianna.
La ragazzona restò delusa: non era nemmeno riuscita sentirli scendere lungo la gola: in effetti, non riusciva neanche a capire se li aveva effettivamente ingoiati. Scrollò le spalle massicce.
- Basta perdere tempo! – pensò – E’ ora di rimettersi in cammino -
Si alzò in piedi, e fece il suo primo, deciso, devastante passo di dea invulnerabile nelle acque del Tirreno.
Un attimo dopo, i suoi piedini di 300 metri di lunghezza per 70 di larghezza si muovevano a velocità supersonica verso la città, preceduti da scosse sismiche ed ondate di marea.
Continua...
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