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Marianna

Part VI sent by DollGuy and uploaded on data 30/January/2005 18:00:19


CAPITOLO 5

Il Presidente del Consiglio aveva un gran mal di testa.
Una qualche strana forma di follia sembrava essere scoppiata, a Napoli.
Prima erano arrivati continui rapporti di incredibili avvistamenti, e poi numerose zone sembravano essere divenute impossibili da contattare. Persino un paio dei “suoi” reporter televisivi: lo avevano chiamato, in via confidenziale, per sostenere quell’incredibile racconto, e poi sparire. Sperava che i loro direttori provvedessero presto a licenziarli…

In seguito, un terremoto insolito sembrava aver creato grande agitazione tra i sismologhi. Lui di movimenti tellurici non capiva molto, ma vedeva benissimo quali erano gli effetti mediatici di questo in particolare: un panico senza precedenti si stava impadronendo dei cittadini. Già i suoi ministri erano stati bombardati da rapporti allarmanti, ed avevano chiesto a gran voce che venisse dichiarato lo stato di calamità.

Come se non bastasse, i membri dell’opposizione non si erano lasciati scappare una nuova occasione per cercare di farlo sembrare un idiota: già due interrogazioni parlamentari erano state presentate.
Puntualmente, alcuni esponenti della sua coalizione, tra cui uno dei principali leader, avevano dato in escandescenza e replicato con tutto il loro repertorio abituale di parolacce e gesti osceni; come sempre, questo aveva suscitato le reazioni degli “onorevoli” oppositori, tanto indignate quanto abusate: ancora una volta, si erano messi a blaterare di “pericoli per la Democrazia” (cosa che faceva spesso anche lui, del resto). A nulla erano valsi i soliti richiami all’ordine del Presidente della Camera, e i triti e ritriti appelli all’unità nazionale del Presidente della Repubblica.
Tutti si stavano comportando come da copione: anche i giornalisti, italiani e stranieri, già gongolavano pensando ai fiumi d’inchiostro e ai diluvi di parole che avrebbero versato su quell’ennesima sceneggiata del teatrino della politica.
Come se non bastasse, tutto questo capitava contemporaneamente ad un nuovo accertamento fiscale sulle sue proprietà, e ad un nuovo avviso di garanzia sui presunti legami di membri del suo partito con la criminalità organizzata. Non che questo lo preoccupasse: neanche con una decina di condanne penali si sarebbe schiodato da lì, e al limite si poteva sempre emettere un altro decreto-legge, che la sua maggioranza avrebbe senz’altro convertito. Tanto, la gran parte dei cittadini italiani di questioni legali non capiva niente, e avevano altro a cui pensare…Però era una seccatura, e capitava proprio al momento meno opportuno.

Ma i problemi veri erano cominciati dopo.
Il comandante in capo del SISMI lo aveva contattato, facendogli strani discorsi su esperimenti segreti, su cellule terroristiche, sulla sicurezza nazionale ed internazionale, e sulla “necessità” di mobilitare l’esercito e di mantenere il silenzio stampa. I capi di stato maggiore si erano associati a loro.
Non avendo capito bene di cosa si trattasse, aveva deciso di scaricare quel nuovo casino sul Ministro della Difesa: già si immaginava le polemiche con il Presidente della Repubblica, visto che, per la Costituzione, era lui il comandante in capo delle Forze Armate.
- Al diavolo la Costituzione! – Pensava – Non sarà mica la prima volta che la…stiracchio un po’. E poi che va cercando, quel vecchio rimbecillito? Non siamo mica in guerra! Non ufficialmente, almeno…-
Poi, il Ministro dell’Interno gli aveva comunicato che qualcosa di strano era avvenuto, nella questura della disastrata isola di Procida. Neanche in questo caso aveva capito bene di cosa si trattasse; sapeva solo che, con la scusa di voler controllare cos’era successo, quello scansafatiche si era reso irreperibile, lasciandolo nella m***a.
- Vatti a fidare degli ex-…………! – Pensò.
Infine c’erano i dubbi del Vicepresidente del Consiglio.
- E’ sempre stato una persona intelligente – rimuginava il premier - Però mi pare che ‘stavolta si preoccupi per nulla: che rapporto potrà mai esserci tra il casino che è scoppiato a Napoli e una cellula terroristica? -
Fu interrotto nelle sue elucubrazioni dal Sottosegretario di Stato, che gli annunciava l’ennesima telefonata del Governatore della Campania. Sospirando, sollevò la cornetta.
- Cheppalle!! – pensò – Vorrà di nuovo chiedere aiuti straordinari…seee, e poi chi li sente i federalisti? Ma non posso rimandare ancora una volta questa telefonata: ci mancherebbe solo che mi presentassero all’opinione pubblica come uno che non ha a cuore i problemi umanitari, specie quelli degli Italiani…però se mi tira in ballo ancora una volta i “Napoletani onesti”, giuro che gli riattacco il telefono in faccia! -

Il Vicepresidente, leader di un partito che aveva sempre goduto di simpatie all’interno delle Forze dell’ordine, delle Forze armate e dei Servizi segreti, aveva ricevuto dai suoi contatti informazioni vaghe ma inquietanti. Grazie alle risorse di cui disponeva, in quanto facente funzioni di Ministro degli Esteri, aveva potuto trovare parziale conferma di quanto aveva appreso.
A dire la verità, si trattava più che altro di voci, e apparentemente neanche collegate tra loro. Ma, considerate nel complesso, avevano messo una pulce nell’orecchio di quell’uomo. Non c’era da stupirsene: era un politico molto abile ed insolitamente perspicace, tanto da aver trasformato un piccolo partito, emarginato per via del suo passato, in una forza politica di successo e rispettata anche all’estero.
Apparentemente, i servizi militari stranieri erano di nuovo impegnati in qualche attività segreta sul territorio nazionale. E ora, forse, la cosa era sfuggita loro di mano. (Pare che c’entrassero anche alcuni agenti di polizia locali, ma il Ministro dell’Interno non era del suo stesso partito, e per il momento restava abbottonato…)
Non era certo la prima volta che capitava: tante volte i militari NATO avevano creato pasticci, per poi cercare di coprire il tutto; ad esempio nell’80…
Però in passato non si erano mossi con tanta frenesia: avevano quasi scavalcato la catena di comando. Sembrava quasi che avessero paura di qualcosa…
Il fatto, poi, che le loro forze stessero convergendo sulla stessa zona in cui si era verificato quello strano sisma gli dava da pensare:
- Non vorrei che si trattasse di un esperimento atomico sfuggito al controllo, o qualcosa di simile -
Non era uno scienziato, e un’ipotesi del genere sembrava davvero troppo fantascientifica…ma non era arrivato a quella posizione scartando le possibilità che gli si prospettavano solo perché sembravano troppo fantasiose.
Aveva accennato a queste sue preoccupazioni con il Presidente del Consiglio, ma questi non l’aveva neanche ascoltato con attenzione: in quel momento aveva un diavolo per capello, e poi non era mai stato proprio una cima, su certe questioni.
Doveva pensarci lui. Del resto, non era la prima volta.
Dopo aver dato disposizione ad uno dei suoi sottosegretari di trovare il Ministro dell’Interno, ed aver inviato richieste di informazioni ai quadri napoletani del suo partito, si mise in contatto con i suoi omologhi nei paesi alleati.

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Marianna fu svegliata da un leggero prurito sul volto e sul petto. Si grattò. Si stiracchiò voluttuosamente, distendendosi per più di due chilometri. Quindi aprì gli occhi, e si levò a sedere.
A questo punto, sentì un lieve sibilo provenire dall’alto. Levò lo sguardo, e dopo un po’ li vide.
Sembravano piccoli nugoli di mosche. Erano appena più grandi degli elicotteri, sottilissimi, lunghi neanche 2 centimetri; stavano svolazzando poco al di sopra della sua testa, lasciando dietro di sé delle esili scie bianche: aerei.
I pizzicorini che aveva sentito erano missili e bombe: si trattava di cacciabombardieri. La stavano bombardando!
La gigantessa, per l’entusiasmo, giunse le mani al petto e sorrise, felice come una bambina.
- Che bello! Dei nuovi giocattoli! – Mormorò: non voleva abbatterli subito con il tuono della sua voce. Quei missili erano un po’ più potenti di quelli degli elicotteri, per cui sperava che avrebbero potuto compiacerla di più.

I piloti erano inizialmente rimasti paralizzati alla vista di quel corpo, magnifico ed immenso, nudo in tutta la sua gloria. Ma dopo un po’, gli ordini del comando erano risuonati nelle cuffie, riportandoli alla realtà: bisognava colpire ora, approfittando che il mostro fosse addormentato! Così, si erano disposti in formazione e avevano puntato su di lei.
Erano rimasti allibiti: i loro missili aria-terra e le loro bombe, con esplosivi incendiari o testate anti-bunker, parevano incapaci anche solo di bucare la pelle di quella montagna vivente. Ora stavano virando per lanciare un secondo attacco.

Mari aspettò fiduciosa, facendo loro l’occhiolino.
Pochi istanti dopo, sentì una nuova serie di leggeri pizzicorini: abbassò lo sguardo, e notò che delle scintille piccolissime si accendevano lungo il suo corpo. Che patetici! Il pungiglione di una zanzara sarebbe stato più fastidioso! Però erano gradevoli…
Con un largo sorriso, socchiudendo gli occhi, si portò le mani dietro la nuca, ravviandosi i lunghi capelli in modo molto seducente, e inarcò il petto in avanti, esponendo maggiormente i suoi seni colossali.
- Hmmmm! Come sono piacevoli i vostri piccoli missili! Hanno un tocco così delicato! – sussurrò.
Sembrava una gatta grande quanto una montagna, che si stiracchiasse facendo le fusa.
I piloti erano esterrefatti. Tuttavia, si ostinarono a tentare un terzo attacco.
Senza preavviso, Marianna riaprì gli occhi, e, dispiegando il suo chilometrico braccio destro, allungò mollemente la manona verso uno degli sciami.
Gli omiciattoli avevano creduto di essere al sicuro volando a centinaia di chilometri l’ora e a centinaia di metri al di sopra della testa della leviatana: furono quindi colti del tutto di sorpresa quando quelle dita massicce li raggiunsero a velocità supersonica.
Con grande facilità, la colossa ne acchiappò un paio, con la punta delle dita, osservando divertita come quel gesto tanto semplice avesse gettato nel panico il resto di quegli insetti: avevano, infatti, rotto la formazione, e stavano compiendo frenetiche quanto inutili mosse evasive per sottrarsi ad un eventuale secondo attacco. Dopo qualche attimo, la gigantessa decise di ignorarli temporaneamente, per concentrarsi sui suoi prigionieri, appena visibili: i due velivoli erano quasi del tutto ricoperti dai suoi ampi polpastrelli.
Aprendo la mano sinistra, con il vasto palmo rivolto all’insù, vi depositò con cura i due minuscoli aviogetti.
Per i due sfortunati piloti, tutto si era svolto troppo in fretta: non avevano avuto il tempo di raccapezzarsi, e tanto meno di far qualcosa. Così, si ritrovarono ad essere sbattuti su quell’estesissimo palmo, contornato da dita lunghe quanto il ponte di decollo di una portaerei, con i reattori ancora accesi, ma con i carrelli alzati: erano arenati, bloccati su quella superficie enorme ed irregolare, senza poter tentare di decollare né di lanciarsi con il paracadute.
La ragazzona li osservò per un po’, sentendo sulla pelle il piacevole caldino dei loro motori. Vederli così indifesi aveva riacceso la sua eccitazione.
- Che c’è, piccoletti? Non riuscite più a volare? Avete bisogno di una mano? – Bisbigliò, ironicamente.
Con estrema delicatezza, ne raccolse uno tra indice e pollice, e se lo portò all’altezza del volto, con la punta rivolta verso di lei.
- Ma che gingilli sfiziosi! - disse
Notò dei microscopici lampi, e si sentì stuzzicare le labbra. Non poté fare a meno di sorridere. Se lo portò vicinissimo alla bocca.
- Cosa c’è, pucci? Ti faccio paura? Che deboluccio! Aver paura di una piccola ragazza! – sussurrò, investendo l’aereo con il suo alito e rischiando di stritolarlo tra quelle titaniche labbra. Al pilota per poco non venne un infarto, per la paura. Ovviamente, Marianna non poteva accorgersene; però intuì che potesse accadere qualcosa del genere.
– Ma no! Non piangere! Io ti voglio bene: sei così adorabile! Anzi, ora ti faccio vedere una bella cosa…-
Abbassò la manona, e portò le dita all’altezza del petto. Lentamente, mosse lentamente il suo piccolissimo prigioniero lungo la tetta destra, a pochi centimetri dall’epidermide.
- Facciamo un gioco – disse – se riesci a farmi godere, ti lascio andare -
Il militare, terrorizzato, impossibilitato a lanciarsi, con quella massa di carne che bloccava il portello impedendo l’espulsione, si aggrappò a quella speranza. Cominciò a sparare con tutto quello che aveva su quell’infinita distesa di pelle, che gli scorreva rapidamente davanti agli occhi.
La titana si morse un labbro: quelle esplosioni infinitesimali e quei microscopici proiettili stavano titillando delicatamente la sua mammella, e il suo capezzolo si stava risvegliando. Ma non erano solo le attenzioni del suo inerme prigioniero, tra l’altro quasi impercettibili, a causarle quella reazione.
Stava pensando a quegli aerei da guerra, alla morte e alla distruzione che erano capaci di seminare. Ora, questi micidiali velivoli, in confronto a lei, erano così lenti da poterli afferrare in volo con la stessa noncuranza con cui avrebbe potuto raccogliere una piuma da terra; i loro minuscoli reattori erano più deboli del suo dito mignolo; e le loro letali armi riuscivano appena a stuzzicare i suoi appetiti sessuali. I loro microscopici piloti, poi, avevano delle percezioni così limitate, e dei cervellini così inadeguati, che non riuscivano neanche a concepire una creatura come Marianna: infatti, non potevano neanche comprendere quanto risibili fossero i loro sforzi, o quanto indifesi fossero nei confronti di lei. Il suo senso di onnipotenza stava tornando a farsi sentire, prepotentemente, e questo la eccitava parecchio.
Sempre con gentilezza, spostò il suo piccolo giocattolo sessuale all’altezza del capezzolo.
- Mmmmhhh! Non c’è male – sussurrò - ma potresti fare di meglio, tesorino? Ti sento appena! -
Il pilota fece del suo meglio: i missili del caccia si abbatterono uno dopo l’altro su quell’escrescenza carnosa, grande quanto un piccolo edificio; i proiettili dei cannoni picchiarono sulla sua pelle; e le mitragliatrici ad alta velocità innaffiarono di bossoli la sua immensa aureola.
Non fu abbastanza: il maestoso capezzolo di Marianna era, semplicemente, una sfida troppo grande per un cacciabombardiere così piccolo. Mari non sentì nulla di più del solito pizzicorino, magari appena più intenso di prima. La colossa sorrise.
- Proprio non ce la fai, ciccino? Vabbe’, va’! Non fa niente. Non è colpa tua se sei così debole e piccino…Guarda, visto che ci hai provato con tanto impegno, manterrò la mia promessa: anzi, ti voglio pure aiutare a volare via. Del resto, con quei motorini da niente che hai, non è nemmeno sicuro che tu ci possa riuscire da solo…-
Riportando la mano all’altezza delle labbra, liberò l’aereo, tenendolo sulla punta del pollice. Notò, con allegria, che la superficie del polpastrello era molto più lunga e larga del jet. Poi serrò le labbra, e, senza neanche inspirare, soffiò leggermente su di esso. Il velivolo venne spazzato via come un granello di polvere, per centinaia di metri. Dopo pochi attimi, esauritasi la spinta, cominciò a precipitare.
La gigantessa aveva osservato il suo giocattolo, travolto dal suo respiro, mentre veniva trascinato da quel lieve sbuffo per qualche decina di centimetri, incapace di resistere a quella che per lui era una bufera mai vista. Poi lo vide perdere quota, per cadere molto lentamente verso le sue cosce.
- E’ incredibile! – Pensò – Sono così delicati che rischio di ammazzarli anche solo respirando…-
Allungò di nuovo la mano, afferrandolo agevolmente a mezz’aria, e se lo riportò davanti agli occhi.
- Che succede, piccolino? Non riesci più nemmeno a volare? – Sussurrò. Il pilota non poté rispondere: aveva ormai perso conoscenza.
A questo punto, la ragazzona fu distratta da una nuova ondata di prurito. Alzò gli occhi, e vide che gli altri aviogetti la stavano nuovamente attaccando. Le scappò un risolino.
- Che cosini teneri che siete! – disse – Avete sempre voglia di giocare! Sono subito da voi, il tempo di occuparmi dei vostri amichetti, qui…-
Ciò detto, si portò il suo schiavetto alle labbra, e lo baciò, schiacciandolo contro i suoi labbroni: il caccia fu polverizzato all’istante.
Quindi, incurante del bombardamento in corso, rivolse la sua attenzione al palmo della mano sinistra, e raccolse il suo altro prigioniero. Stranamente, però, questo aereo non sembrava voler reagire: perfino i reattori erano spenti. Provò a scuoterlo leggermente, senza risultato. Quindi strinse gli occhi per vederlo meglio, e si accorse che il tettuccio dell’abitacolo era aperto. Capì subito cosa doveva essere successo, e, dopo aver disintegrato l’apparecchio contro il capezzolo sinistro, guardò attentamente in basso.
Riuscì a vederlo, mentre scendeva dolcemente verso la sua coscia destra: era infinitesimale, ma coloratissimo. Il pilota aveva capito che il suo aereo era spacciato, e aveva deciso di uscirne, per lanciarsi con il paracadute dal bordo di quella mano enorme. La giovane ne fu immensamente compiaciuta.
Prima di perderlo di vista, Marianna lo afferrò a mezz’aria con la mano destra, e lo sollevò davanti al volto per vederlo. Il paracadute scomparve sotto i suoi polpastrelli. A fatica, riuscì a distinguere l’omino, alto meno di 2 millimetri, che penzolava impotente a pochi millimetri dalle sua dita, agitando i braccini e le gambette. Stava anche urlando di terrore, ma la gigantessa non poteva udirlo.
Dopo avergli strizzato l’enorme occhio, lo calò poco al di sopra della tetta sinistra, e lo lasciò andare. Il paracadute era aggrovigliato, e il militare credette di dover morire nell’impatto con quella pelle paradisiaca. Poi riuscì a liberarlo e ad aprirlo, ma non fece molta strada: la colossa lo riacchiappò, per poi lasciarlo di nuovo andare sopra il suo titanico palmo, dove si posò dolcemente. Quindi, si divertì a scrutarlo mentre si rizzava in piedi, solo per inclinare la manona e farlo ruzzolare di nuovo verso il suolo. Di nuovo, il paracadute si aprì, e di nuovo le lo afferrò, per mollarlo sopra un’altra porzione del suo corpo, vedere il paracadute riaprirsi, catturarlo ancora, e così via. Il giochetto fu ripetuto ancora qualche volta, finché, mentre il minuscolo paracadutista le passava davanti alla bocca, lei schioccò le labbra e gli soffiò un bacio: la sua microscopica vittima fu letteralmente sparata via dallo sbuffo d’aria.
Dopodiché, rivolse la sua attenzione agli altri velivoli.

Con un movimento fluido si alzò in piedi, cogliendo di sorpresa i piloti.
Un attimo prima, la gigantessa era centinaia di metri al sotto di loro. Poi, la videro alzarsi, a velocità supersonica, ed andare su, su, sempre più su…raddrizzandosi su quelle gambe lunghe quasi un chilometro, e raggiungendo un’altezza più che doppia rispetto a prima. Come potesse una creatura così immane essere tanto aggraziata, i militari non riuscivano a capirlo.
In pochi istanti, Marianna torreggiò su di loro, stagliandosi proprio sulla loro rotta attuale: i jet che si trovavano più in alto, a stento le arrivavano agli immensi seni. I soldatini osservarono increduli quella sconfinata massa vivente, alla quale si stavano avvicinando velocemente.
Prima che potessero virare, furono investiti dal boom sonico e dal potente spostamento d’aria, causati da quel semplice movimento. Dovettero sudare sette camicie per mantenere l’assetto di volo.
Compiaciuta da quell’effetto, la ragazzona si piegò sui fianchi per chinarsi ed osservarli più da vicino.
Gli omini ebbero la fugace visione di una montagna bronzea che calava su di loro ad una velocità spaventosa. Poi, dopo un attimo, si trovarono di fronte chi il monumentale viso di Mari, chi la giungla dei suoi chilometrici capelli, chi la visione mozzafiato dei suoi seni.
Fu un’ecatombe: la titana si era avvicinata troppo, per cui non fu possibile evitarla. Solo i pochi caccia che si trovavano all’altezza delle zinne, e che erano stati tanto fortunati da oltrepassare i suoi capelli, ebbero il tempo di prevenire l’impatto scendendo in picchiata (il suo petto era troppo ampio per poterlo schivare virando di lato). Così, ebbero spazio di manovra sufficiente per allontanarsi prima di schiantarsi contro le sue cosce.
Marianna sentì sul volto i lievissimi pizzicotti causati dalle esplosioni degli aerei che collidevano contro di lei. Sorrise, chiuse gli occhi e protese il suo faccione, come avrebbe fatto ad una seduta di lampada abbronzante. Ad un tratto si accorse che il prurito sul viso era cessato, ma qualcosa le stava solleticando il petto.
Ciò che vide la deliziò ancora di più: davanti a lei, nugoli di paracadute venivano agitati qua e là dal suo respiro, mentre alcuni velivoli erano rimasti impigliati nei suoi capelli, spessi come tronchi, e stavano sparandole addosso con tutto ciò che avevano.
Senza neanche raddrizzare il bacino, sollevò la manona sinistra, e la portò vicino ai paracadute. Era tanto concentrata su di loro, che neanche si accorse degli aerei che si erano ritrovati sulla traiettoria del suo incommensurabile braccio, e che non sopravvissero all’impatto.
Quindi, cominciò a sventagliare i paracadute agitando la mano: quegli sventurati erano impotenti di fronte ai furiosi spostamenti d’aria causati da quel movimento, e furono sballottati senza pietà.
Rallegrata da quello spettacolo, continuò a giocherellare con loro, sfiorandoli con la punta delle dita, aspirandoli o soffiandoli via, posizionando il dorso della mano sotto di loro, solo per rovesciarlo dopo che vi erano atterrati e farli così ruzzolare di nuovo verso il basso…
Molti paracadutisti erano già morti, torturati dalle sue attenzioni, quando sentì che qualcosa le solleticava il culo. Voltando la testa, vide che i cacciabombardieri rimasti non avevano rinunciato ad attaccarla, prendendo di mira la parte della sua anatomia che, a quell’altezza, pareva loro più evidente.
In realtà, i piloti si erano ormai convinti dell’inutilità dei loro sforzi: avevano quasi esaurito le munizioni, e non erano ancora riusciti a far nulla di più che infastidirla un po’. Tuttavia, speravano di riuscire a distrarla, in modo da permettere ai loro commilitoni prigionieri di fuggire.

Marianna si chiese se era il caso di usare anche quei microbi per i suoi giochetti sessuali. Ma poi pensò che sarebbe stato meglio aspettare: neanche quegli aerei da guerra, da soli, erano stati sufficienti ad eccitarla come si deve. Avrebbe rimandato a quando l’avessero attaccata in forze.

Quindi, dimenò un po’ i suoi immensi glutei, spazzando via una parte degli attaccanti, e terrorizzando gli altri. Dopodiché, si raddrizzò, mandando i suoi capelli a sbattere contro il suo petto, insieme ai jet imprigionati in essi: i pochi che erano rimasti interi dopo che aveva voltato la testa, non sopravvissero a quell’impatto.
Per un po’, si divertì a tormentare i sopravvissuti in fuga, inseguendoli e tagliando loro la strada, per osservarli mentre cambiavano disperatamente rotta, solo per ritrovarsela ancora davanti: gli aerei non avevano avuto il tempo di accelerare alla massima velocità, e la giovane dea non aveva neanche bisogno di correre per raggiungerli.

Dopo alcuni minuti, si stancò di quei balocchi, e li scacciò via schioccando loro un altro bacio, travolgendoli con il suo alito.

Marianna era ormai arrapatissima: aveva bisogno di giocattoli più grossi. Si infilò rapidamente il bikini: era più divertente toglierlo davanti a quegli insettini, piuttosto che presentarsi già nuda davanti a loro. Poi, con decisione, si diresse verso il porto di Napoli.

Continua...


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